In ginocchio da Bielsa

Roberto Beccantini16 giugno 2011Pubblicato in Per sport

Non dubito che Marcelo Bielsa sia un buon allenatore tendente (qualche volta) all’ottimo. Vivacchiava ai margini del nostro lubrìco suk da tempo immemorabile, ma questo, ça va sans dire, non è e non può essere una colpa. Quello che ho trovato francamente sgradevole è l’improvviso inchino dei media italiani non appena il suo nome è stato affiancato a quello dell’Inter.

Poche righe sull’esclusione della sua Argentina fin dal primo turno del rodeo nippo-coreano del 2002 (nonostante un attacco che poteva contare su Gabriel Batistuta e Hernan Crespo); ripeto, al primo turno. E l’avventura africana del suo Cile, schiantatosi contro il Brasile già negli ottavi, celebrata come un’epopea.

L’autopsia del suo 3-3-1-3 ha portato alla luce, in televisione e sui giornali, iperboli, superlativi, orgasmi. Salvo leggere o sentire che, in fase difensiva, arretra i due esterni per proteggere i fianchi dei tre centrali. Wao.

Dicono che abbia rifiutato l’offerta di Massimo Moratti e preferito l’Athletic Bilbao. Fossi negli interisti, ci riderei su. E sorriderei anche di fronte alle note e ai ritornelli impiegati dalla stampa, di regime e non, per cantare le lodi di questo «genio» eccentrico e maniacale. Un tizio che si è fatto costruire un campo di calcio a casa sua e, se gli viene l’ispirazione, usa familiari e famigli come giocatori. Il pensiero corre, leggero e soave, al Fantozzi della «Corazzata Potemkin». Nel dettaglio, a come liquidò, solo contro tutti, il capolavoro di Sergej Ejzenstein. Solo contro tutti, lui. Noi, viceversa, tutti per uno. Un altro film. Il solito.

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