Petrucci, tavoli e tavolini

Roberto Beccantini17 novembre 2011Pubblicato in Calciopoli

Così, a naso, «doping legale» mi sembra un ossimoro e per istinto, dall’epoca della bicamerale dalemiana, diffido dei tavoli politici, chiunque sia il padrone di casa. Gianni Petrucci, presidente del Coni dal 29 gennaio 1999, ha scacciato gli avvocati dal tempio. E’ stato duro con mezza serie A, durissimo con l’innominato Andrea Agnelli. Non discuto la responsabilità della Juventus moggiana; se mai, la distanza dal resto d’Italia, dilatata dal verdetto napoletano di primo grado. Non contesto neppure il rischio che i campi di calcio possano diventare aule di tribunale. Denunciarlo è legittimo, come certifica il caso Sion e come ribadisce il bordello del Tar gaucciano, estate 2003.

C’è un però, e riguarda la vexata quaestio dello scudetto a tavolino. Per evitare torme di avvocati all’uscio, urge più «competenza» da parte delle istituzioni. Non è corretto, e Petrucci lo sa, che dalla giustizia sportiva al presidente Abete, dal Consiglio federale al Tnas, l’esposto della Juventus sia stato scartato per «incompetenza». Nel rispetto di tutte le opinioni, il cittadino di un Paese normale ha diritto a una scelta netta: sì o no. A non fornirla, è lo sport per primo a perdere credito. Il cerino acceso da Agnelli andava spento con un soffio (ripeto: pro o contro la revoca): passarselo di mano in mano, in attesa che si spegnesse da solo, è stato da codardi. A maggior ragione, se la mossa di «decidere di non decidere» l’hanno suggerita gli avvocati federali, a proposito.

Mi fa piacere che Roberto Mancini abbia inviato un sms di congratulazioni a Petrucci: quando, nel febbraio del 2001, da vice di Eriksson alla Lazio diventò allenatore a Firenze, Coni e Figc furono velocissimi a dirsi «competenti» nello stuprare la regola che vietava il via-vai di tecnici a stagione in corso.

Servono dirigenti con gli attributi, non con gli aggettivi.

236 Commenti

Lascia un commento