Atti di fede

Roberto Beccantini21 gennaio 2018Pubblicato in Per sport

Un paziente di Napoli (sottolineo: di Napoli) mi chiede: che differenza c’è tra il gol di Mertens a Bergamo e il gol di Cacciatore in Chievo-Udinese pre-sosta? Il primo convalidato nonostante un mezzo piede in fuorigioco, il secondo annullato per un mezzo piede in fuorigioco.

La domanda coinvolge gli atti di fede che, al di là della parallasse, delle linee tracciate o tracciabili, dell’attesa spasmodica della tridimensionalità e, più terra terra, dei confini del tifo, talvolta prendono in ostaggio la Var sulla «vexata quaestio» del fuorigiochicidio.

Se pensiamo al calcio degli assistenti, Atalanta-Napoli sarebbe potuta finire 0-0 o 0-2 (c’è anche il gol di Hamsik, di una scapola «oltre»), e tutti o quasi l’avrebbero accettato. Viceversa, con il calcio dell’alta velocità (tecnologica), capisco le perplessità dei Gasperini (e dei Maran) di turno.

Cosa si può fare? Finché non arriveremo alla perfezione degli strumenti, bisogna evitare che, appunto, siano gli atti di fede a giustificare la correttezza delle decisioni. E allora rilancio una vecchia proposta: ripristinare il concetto di luce tra ultimo difendente, portiere escluso, e attaccante. Dopodiché: tutto buono (dal piede al naso, dall’alluce al gluteo in offside) o tutto no. Personalmente, sponsorizzo la prima: tutto buono.

Come temevo, sono state consegnate alla moviola in campo sacche di regolamento troppo ambigue per non alimentare il cicaleccio da bar sport. Mani-comio, furigiochicidio: sarebbero servite norme più asciutte, più chiare. Anche perché, con la Var, le pretese si sono alzate e l’esigenza generale è cresciuta. Non ci si accontenta più della realtà, si pretende la verità.

Il campanile non c’entra, o almeno non c’entra in questa piccola analisi. C’entra la volontà di uscirne tutti insieme.

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