Il mio allenatore preferito? Messi

Roberto Beccantini12 marzo 2013

Guarda un po’. Doppietta di Leo Messi. I primi gol su azione a una squadra italiana. Il Barcellona asfalta il Milan che, con pieno merito, si era aggiudicato la sfida d’andata. Appartengo alla tribù di coloro che, prima che la Pulce «cantasse» due volte, avevano rinnegato il Barcellona. Cosa volete: avevo letto che Jordi Roura era un vice (del vice) molto scarso, che Tito Vilanova (auguri, sempre), doveva imbeccarlo addirittura da New York. Tutte ‘ste menate qua.

E’ successo che il Barcellona è tornato il Barcellona e il Milan, il Milan. Quattro reti più un rigore abbonato (con rosso ad Abate) contro il palo di Niang. D’accordo, un attimo prima del bis di Messi. Ma troppo nudo e troppo solo per costruirvi sopra lo straccio di un alibi.

Avevo dato il Barcellona per sfinito, più che per finito. Avevo parlato di snodo storico. Lo è stato, anche se per stabilire di che tipo dovremo aspettare la primavera. Certo, Barcellona e Real sono nomi che fanno paura, e la Juventus lo sa. Messi, Cristiano Ronaldo e tutto quel popo’ di contorno. Allegri non è riuscito a ricavare un plausibile equilibrio dalla partita studiata: catenaccio (troppo) e contropiede (troppo poco).

Credo che nella prestazione del Milan abbia pesato l’assenza delle «scorte» che il campionato generosamente gli assegna. Un episodio qui, un episodio là e pensi di essere più grande o più forte di quello che, in effetti, sei. Sono curioso, molto curioso, di vedere la Juventus all’opera con le corazzate d’Europa. Il gioco è pronto, qualche giocatore non ancora. Se l’Arsenal esce, come suggerisce la logica, l’Inghilterra non avrà squadre nei quarti. Un segno dei tempi che cambiano.

Il Milan ha dato tutto. Era il Barcellona che aveva dato poco. E lasciamo in pace Roura. Guardiola? Vilanova? Prendo Messi.

Da Pirlo a Pogba

Roberto Beccantini10 marzo 2013

Il dopo coppa è quasi sempre una tortura, e poi gli scudetti si vincono anche così, raccontava mio nonno: ansimando per 94 minuti, lucrando sui limiti della concorrenza (Napoli k.o.), andando oltre le proprie umane debolezze.

Peggiore in campo, Pirlo: l’uomo che morde il cane. Migliore, Pogba. Marotta lo strappò al Manchester United: l’uomo che morde il cane, ancora. Pogba non ha il «timing» di Vidal, negli inserimenti, ma un fisico, un passo e fondamentali da predestinato (classe 1993, mai scordarselo). L’arresto e cross, per Giacchierini, vale una secchiata di applausi. E il gol di Giaccherini, quando la competenza si sposa con il cuore e il cuore, magari piccato da un palo (di Vucinic), con qualcos’altro, riassume e rilancia l’eterna fiaba delle formiche: giammai do copertina, come certe cicale indolenti (Giovinco, Vucinic), ma da da ultima pagina e talvolta, per fortuna, da ultimissimi minuti.

Il senza voto di Buffon spiega la partita del Catania, che poco ha sofferto: chiudersi, sabotare gli spazi. Gli mancavano Legrottaglie e Bergessio, gli hanno espulso, con frettolosa baldanza, Maran. Ho pensato, vista l’immanenza dello 0-0, che la nemesi volesse risarcirlo dei torti subìti al Cibali. Ha segnato Giaccherini e, quindi, Conte ha azzeccato i cambi. E’ stata una Juventus molle, imprecisa in Lichsteiner e Asamoah, sterile in attacco. Ai punti, come ad alcuni lettori piacerebbe non leggere, avrebbe vinto largo, tra palo, voli di Andujar (almeno un paio, lui che proprio angelo non è), sgorbi di Marchisio.

Era una tappa ambigua e, per questo, pericolosa. Chi ha un gioco sorretto da grandi giocatori, può prescindere dal ritmo. La Juventus no: deve correre, non semplicemente trottare. Nei quarti di Champions, più nove sul Napoli, più undici sul Milan: e se Galliani stavolta ci avesse azzeccato?

Milanset Premium

Roberto Beccantini9 marzo 2013

Fossi in Mazzarri, comincerei a preoccuparmi. Il Milan ha vinto anche a Marassi: sette punti in otto partite e poi 44 in venti. Tutti Allegri. Il gregge è diventato gruppo; e il gruppo, squadra. Giù il cappello. L’obiettivo dichiarato di Galliani resta il terzo posto. Non solo: «Lo scudetto l’ha già vinto la Juve». Gufata storica di ex juventino. Non dubito che per lui l’abbia già vinto la Juve. Per gli arbitri, non si direbbe. Dalla sera di Milan-Juventus, quando un’ascella di Isla venne tradotta da Rizzoli in tutt’altra roba, il vento è cambiato. Gli episodi pro Diavolo hanno surclassato quelli pro avversari. Simbolo della svolta, il rigore agli sgoccioli degli sgoccioli di Milan-Udinese.

Scagli la prima moviola chi. Per carità. La Juventus toccò l’Everest dei favori tra Catania e Inter, al Napoli non fischiano un rigore contro da una vita. Non piace a nessuno parlare di arbitri: ogni tanto, però, bisogna. L’aiutino seriale stuzzica la fantasia.

I bar sport pullulano di grafici, di statistiche, di proiezioni. Hai visto mai che la congiuntivite del Berlusca… Da Balotelli a Damato, le gocce di collirio fioccano. (D)amato, già: per non cacciare Bertolacci, gamba alta su Muntari, doveva proprio sentirsi in colpa (difatti: al Genoa mancano un paio di rigori).

Sorrido di fronte all’avanzata di Milanset Premium, al gol di Muntari sul telefonino di Galliani, al rigore di Valeri sul cellulare di Pozzo (?), al «Vergogna» di Foschi, ai dossier che ogni società tiene nel cassetto.

Siamo al disegno, al complotto, al teorema. Il Corriere dello Sport-Stadio fece di tutto per allontanare Rizzoli da Napoli-Juventus: in un altro Paese, l’avrebbero preso a pernacchie, in questo c’è riuscito. Lungi da me volare così in alto: non ne sono capace. Prendo atto, e ripeto. Fossi in Mazzarri, sì, sarei nervoso. Voce dal fondo: e se fossi Conte? Mi fiderei di Galliani.