Sbadigli e artigli

Roberto Beccantini13 dicembre 2023

Sbadigli di Champions. Zero a zero a San Siro, e così: Real Sociedad prima, Inter seconda. La partita si dipana noiosa, con i baschi che per una quarantina di minuti nascondono la palla (anche a sé stessi, però), e la capolista che vive sulle sgommate di Thuram. Non chiedetemi dei portieri, e nemmeno di saette vaganti: briciole.

I dribbling di Kubo sono stati l’unico antidoto all’abbiocco. Strano, però, che proprio un nippo si rotoli per terra. Corretto il giallo varista: simulazione, altro che rigore. Se mai, qualcosa di molto serio aveva rischiato Cuadrado su Oyarzabal. Dall’entità del turnover non mi è parso che Inzaghino abbia cercato di vincere con la bava alla bocca. Già a San Sebastian non era stata una gita (1-1) e la Lazio incombe. Aver inserito Lau-Toro così tardi mi è parso un segnale. Che delusione, Alexis Sanchez. La Real di Alguacil: testa alta, tiki-taka felpato, pressing sussultorio. Il busillis riguarda la fase di tiro. I meriti di Achab-Acerbi e compagnia non si discutono. Ciò premesso, le cantere ispaniche continuano a sfornare un sacco di fini dicitori. Ma serpenti dal morso fatale, pochi. Meglio comunque loro, tra andata e ritorno.

** Napoli-Sporting Braga 2-0. Autorete di Serdar, su cross di Politano; raddoppio di Osimhen, gattonando, su passaggio di Natan (sic). Missione compiuta: qualificati e Maradona «espugnato» (l’ultima vittoria risaliva al 27 settembre: 4-1 all’Udinese). Per carità, i portoghesi sono scarsi: e quando non lo sembravano, ci ha pensato Meret. Per il resto: Napoli sempre in partita, e non dentro/fuori come in troppe occasioni; Osimhen dal pallone d’oro africano a una rete che fa morale; difesa vergine, al di là delle tentazioni e delle omissioni; Natan coinvolto e non più corpo estraneo. In attesa di Kvara, Mazzarri passa dai sospiri ai respiri. L’importante era metterci un cerotto. Messo.

Il duro muso

Roberto Beccantini12 dicembre 2023

Un livornese di Pisa: e già questo è un indizio. Il papà chirurgo: eccone un altro. E ben due lauree: ops. Giorgio Chiellini si è ritirato a 39 anni. Terzino di spinta, e poi stopper di spinte, brutto, sporco e cattivo nell’immaginario populista, la caccia a Bukayo Saka come manifesto riassuntivo di una carriera tutta bisturi, spigoli e turbanti.

Se per un attimo riesumiamo dalla polvere degli scaffali il vecchio motto di paron Rocco – «Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono» – penso che non sia poi così difficile individuare il ruolo di Chiello.

Primi calci (senza secondi fini) in terra labronica, quindi Firenze e infine Juventus, 17 anni, con la vacanze americane di Los Angeles a stemperare la retorica. Perno, tra Barzagli e Bonucci, della Bbc contiana. Muso duro del corto muso di Allegri, il sinistro ora scalpello ora martello, gli speroni come baionette, il naso adunco a indicare arrembaggi e saccheggi. Antico e moderno, segnò al Barcellona di Messi, Neymar, Suarez e Iniesta; firmò il gol inaugurale dell’era Sarri; si avvinghiava, si aggrappava, d’anticipo o a rate, Marine in perenne missione. Masticava gli attimi, non si chiudeva a chiave: e da terra – quando ci finiva, complice – sbirciava il panorama delle tibie con l’occhio del corsaro pago ma curioso.

Ha vinto e rivinto molto. Gli mancano la Champions e il Mondiale; non però l’Europeo. Chiellini stopper, Bonucci libero: una coppia di fatto, e di fatti, che ci ha accompagnato per un sacco di tempo e di polemiche, tranne quando vestivano azzurro, colore che da sbirri feroci li trasformava in premurosi caschi blu.

Non ballava sulle punte. Se mai, sulle «punte» bivaccava, più vampiro che elzeviro. A uomo o a zona, da Deschampas a Mancini: un guerriero. Steve Jobs raccomandava: «È meglio fare il pirata che entrare in Marina». Giorgio detto King Kong è stato un pirata della Marina.

Da Kvara a Gatti

Roberto Beccantini8 dicembre 2023

La Cassa di Risparmio ha sconfitto per 1-0 la Bellezza viva ma sfiorita. L’hanno decisa i grognards di Allegri: McKennie, Cambiaso, Gatti. Gli artefici dell’azione, l’autore del gol. Di testa. Come a Monza, dopo lo schiaffo del Carboncino. Da un terzino allo stopper: persino Pep avrà apprezzato.

Sulla carta, il Napoli ha una rosa più forte ma dicono che il Violinista ne abbia combinate di terribili. Solo lui? Nostalgia canaglia di Kim. E Kvara io non lo tolgo mai, anche se mi cicca l’occasione delle occasioni che, nel primo tempo, avrebbe potuto sabotare l’equilibrio. Come la doppia fiammata di Chiesa, in precedenza, da cui non erano scaturiti che il «muro» di Juan Jesus (su Vlahovic) e un angolo. Come la paratona di Szczesny su Di Lorenzo.

Bremer e Osimhen ci hanno offerto cozzi omerici, i rientri di Danilo (un altro fedelissimo) e Locatelli si sono rivelati preziosi. La partita, zaino stipato e rugginoso, se l’è caricata o’ Napule. A destra, soprattutto: con Di Lorenzo, Anguissa e Politano. Ci perdeva la sinistra (un classico), là dove Natan era un esterno d’emergenza e il georgiano braccato da Cambiaso, McKennie e, se lo imponeva il caso, addirittura da Gatti.

Un palo di Vlahovic ha introdotto l’azione che avrebbe orientato il tabellino. Madama ha continuato a darci dentro per un po’, poi è salita sul pullman: mischie, molte; pericoli, rari. E sulla fotta sesquipedale di Szczesny, Osimhen bazzicava in fuorigioco. I campioni, per la cronaca, erano ancora imbattuti in trasferta. E dalle ultime quattro sfide, il Feticista dei risultati aveva ricavato la miseria di un pareggio.

Dieci gare utili. Non segnano gli attaccanti, segnano i centrocampisti e i difensori. Una volta si diceva: la classe operaia in paradiso. E su Allegri, non so cosa aggiungere se non parafrasare il grande Lucio: A modo suo.