Nel suo piccolo

Roberto Beccantini10 febbraio 2019

Non è stato facile abbandonare la noia gioiosa di Manchester City-Chelsea 6-0 per il casotto (r)esistenzialista di Sassuolo-Juventus 0-3. Il primo a scansarsi è stato Rugani, il cui liscio ha costretto il guanto di Szczesny a immolarsi sui piedi di Djuricic, evitando un rigore quasi certo (santa Var).

Poi si è scansato Consigli: con un rinvio maldestro ha innescato l’azione del gol di Khedira e, alla ripresa, con un’uscita non meno improvvida ha favorito il terzo tempo di Cristiano. Fra il primo e il secondo gol di Madama si era scansato Szczesny, precipitatosi fuori area come peggio non avrebbe potuto (e come, comunque, aveva già fatto in Russia). E dal momento che il destino mescola le carte ma sono gli uomini a giocarci, si è scansato persino il fiero Berardi, che da quasi metà campo aveva la porta spalancata, l’ha mirata e non l’ha presa.

Ecco. A ognuno di voi la facile sentenza. Scritto che al Mapei il Milan aveva vinto 4-1 e l’Atalanta 6-2, la Juventus ha offerto a De Zerbi il primo quarto d’ora e si è presa il resto, rigorosamente alla sua maniera: senza incantare, se non nell’azione del tris, propiziato da Dybala, appena entrato, e dal marziano e siglato da Emre Can, un altro della panchina; senza abbandonarsi a quelle sparatorie che mandano in estasi i cultori di «Ombre rosse» (e ombre Sarri), ma lucrando sul lavoro sporco dei Matuidi e dei Bernardeschi (a uomo su Sensi, sorbole!), perché gli orfani della Bbc è sempre meglio, come cantano ad Anfield, non farli camminare mai soli; e senza esagerare con gli epinici, dopo gli epicedi di Bergamo e con il Parma, visto che uno dei migliori è stato Khedira, il peggiore «a prescindere» per molti prof.

I punti sul Napoli sono tornati, così, undici. L’Atletico ha perso il derby e, a naso, Simeone qualche problema ce l’ha. E Allegri? Pure. Temo che il livello della serie A non lo aiuti.

C’era una volta la Bbc

Roberto Beccantini2 febbraio 2019

C’era una volta la Bbc. La Juventus è tornata a tirare (tre gol, due pali), ma nel cuore di Fort Alamo non c’erano più «loro»: Chiellini, soprattutto. C’erano Caceres imbarcato di fresco e Rugani, che proprio un domatore non è. E se poi ci si mette anche capitan Mandzukic, con un palleggio così hard, nemmeno la superba rimonta del Parma, da 0-2 e 1-3, a tre giorni dagli schiaffoni di Bergamo, può essere liquidata alla voce fatalità. Tutt’altro.

Cristiano, Rugani, Barillà, Cristiano, Gervinho, Gervinho. Non si può dire che sia stata una partita moscia. E’ stata la Juventus a farsela scappare. D’Aversa ha avuto dai cambi (Siligardi) più di quanto non abbia avuto Allegri, il quale si trova a dover governare il caso Dybala, fisso in panchina e per questo imbufalito, e una marcia verso l’Atletico non proprio scoppiettante.

Nove punti sul Napoli restano tanti, a patto che la squadra ritrovi l’autorevolezza che neppure i rientri di Pjanic e Mandzukic hanno portato, se non a sprazzi.

Il problema è, paradossalmente, la fase difensiva. Barzagli, Bonucci e Chiellini erano l’inizio di tutto. Le alternative attuali magari funzioneranno, ma per adesso sono la fine di troppo. Vi raccomando, al di là della doppietta di Gervinho, la partita di Inglese: ogni palla lunga, una sportellata; ogni sportellata, un agguato.

Per una volta che Khedira non sfigura, come documentano i due legni e la gran parata di Sepe, è la Juventus tutta a lasciare dietro di sé tracce di pericolosa fragilità. Sette gol presi in tre partite non sono indizi: valgono la sirena di un allarme.

Il Parma non ha mai mollato, Cristiano ha fatto il suo, anche se il poligono di tiro ne risulta pesantemente condizionato. Cancelo è faina palla al piede e pollo palla agli altri. Sembra incredibile, se pensiamo a questi sette anni e mezzo, ma Allegri deve ritrovare l’equilibrio della gestione. La sua specialità.

Era nell’aria

Roberto Beccantini30 gennaio 2019

Si possono sfidare gli dei, non la Dea. Già contro la Lazio, Madama se l’era cavata con i cambi, Cancelo soprattutto, e con la riffa degli episodi. Questa volta, proprio Cancelo l’ha spinta verso il patibolo al quale, agli sgoccioli, l’ha poi inchiodata De Sciglio. Gasp era partito in tromba, l’Atalanta aveva preso campo, poi si era placata. Gli infortuni di Ilicic e Chiellini hanno sabotato la trama. Al posto di Chiellini, è entrato Cancelo: Castagne gli ha soffiato la palla come il fazzoletto a rubabandiera e ha segnato, indisturbato, dal limite. Era il 37’: due minuti dopo, ha raddoppiato Zapata, con una sassata che lo Szczesny dell’Olimpico avrebbe probabilmente murato. Nel finale, ancora Zapata: già sazio, sì, ma non al punto da rifiutare una caramella così dolce.

E la Juventus? La stessa di Roma pre-riffa: inguardabile. E nervosa, come documenta l’espulsione di Allegri. Reclamava una trattenutina di Freuler su Dybala a monte del 2-0: per carità. Mi ero permesso di definire «pericolosa» la vittoria di domenica. Pericolosa, perché il gioco non va reso un’ossessione, ma neppure declassato a stretto superfluo. L’Atletico si avvicina, e la squadra del Cholo è un’Atalanta più rognosa, più affilata, occhio.

La Dea marca a uomo, pressa, Gomez trequartista è la risposta allo spreco cosmico di Dybala tuttocampista. Allegri non c’entra con i harakiri dei singoli e gli errori del branco: c’entra, viceversa, per l’idea che la squadra trasmette, lontana anni luce da Old Trafford. Quel Matuidi incursore, boh. E Cristiano – per tirare, non dico per fare miracoli – a quasi 34 anni ha bisogno di munizioni; è passata l’epoca in cui faceva tutto da solo.

Dopo quattro anni, la Coppa Italia non sarà più della Tiranna. Il problema non è questo. E’ l’involuzione che i cerotti laziali e gli schiaffoni di Bergamo hanno accentuato, e non solo banalmente indicato.