Szczesny, poi i soliti

Roberto Beccantini27 novembre 2018

Sì, l’assist molto bello di Cristiano per Mandzukic chi? Ma prima una paratona di Szczesny su Dhiakaby e sempre il martello del dottor Chiellini. E così la Juventus è qualificata, anche se il primo posto se lo giocherà a Berna. Non è stata una partita memorabile, tutt’altro. Cristiano, Mandzukic e Dybala si sono cercati, e sono stati cercati, senza la velocità e la precisione che la differenza di livello avrebbe sollecitato.

Undicesimo nella Liga e titolare della miglior difesa, il Valencia ha lasciato il possesso palla agli avversari, buttandosi sul contropiede (quando poteva) e blindando i varchi: sulle ali (Cancelo, Alex Sandro), al centro, ovunque. E felice, immagino, di presentarsi alla lotteria degli ultimi minuti con pochi biglietti ma, soprattutto, sotto di un gol, uno appena.

I rari brividi, per Madama, sono arrivati – come contro i guerrieri di Mourinho – dalle punizioni, dagli angoli, dai cross. Parca, viceversa, è stata la produzione del «tridente». Un po’ per il lavoro sporco al quale gli schemi, questi «impostori», costringono il croato; un po’ perché non può sempre pensarci il marziano; e molto perché Dybala mi è sembrato lontano da troppo, non solo dall’area. Non era facile districarsi nella giungla di Marcelino: ci hanno provato Bonucci con i lanci; Bentancur e Pjanic con il fraseggio, Matuidi con i rammendi. In questi casi, rimane l’ultimo passaggio a scolpire il confine, per quanto il governo territoriale possa essere netto.

Aveva dominato più con lo United, la Juventus. Questa è stata un’ordalia più rognosa, più film da Fassbinder che western. E non ci si dimentichi Szczesny. Non significa arrampicarsi sugli specchi per rigare i meriti globali. Una «mano» gliel’ha data poi lo stesso Dhiakaby, ma che parata, quella parata. Feroce o poetica, la solitudine del portiere resta spunto da romanzo.

Vita di coppia

Roberto Beccantini24 novembre 2018

Queste righe sono per coloro che, dopo il raddoppio di capitan Mandzukic (sottolineo «capitan»), sono rimasti svegli fino alla fine. Non molti, immagino. Lo sapete: c’è il circo Medrano e c’è il tirchio Allegri, non meno caro e un po’ meno generoso ma dai «numeri» che molti invidiano (dodici vittorie su tredici). E poi ci sono le soste, nidi di vipere. E poi c’è la Champions, che richiede un’ultima capriola.

Insomma: Juventus due Spal zero. Non saprei cos’altro aggiungere, se non che l’approccio è stato soft, il ritmo lento e la gestione nel solco delle assemblee di condominio, con sprazzi di pressing da tigre sazia ma non troppo (ho esagerato?). Hanno segnato il marziano e il croato: nove e sei gol, rispettivamente. Una coppia di fatti, che a qualcuno non garba ma a me ricorda, se posso, la ditta Cristiano-Benzema di Madrid. Non cadete nella trappola del «CosaavevafattoMariofinoalgol»: l’hanno tesa anche a me. Sono i prestazionisti!

Certo, la Spal è la Spal, ma aveva battuto la Roma a Roma e impegnato strenuamente l’Inter al Mazza. E la Juventus è la Juventus. Aveva due ali – Cuadrado, Douglas «Sosta» – ideali per i cross e i contropiede. Sinceramente, me ne aspettavo di più. Scherzi a parte: mi sono piaciuti le sgommate e il palo di Douglas, il duello tra Alex Sandro e Lazzari (vinto, ai punti, dal brasiliano), il ritorno di «papà» Rugani.

Se mai, scritto che non ne posso più di leggere di insulti ai napoletani (a Udine, questa volta), lancio un piccolo appello: sostituireCristianononèreato. Finora, ci è riuscito solo Brych. Non dico di fargli saltare una partita, chi sono per osare questo? ma sul 2-0, e magari dopo un tackle un po’ hard, sì. Lo so: vuole spaccare il mondo, e in suo onore i biglietti sono stati aumentati ovunque e comunque. Però ha 33 anni e non siamo ancora a dicembre.

La pace dei Sensi

Roberto Beccantini20 novembre 2018

Siamo stati uniti e calmi fino all’ultimo, come a Chorzow, e se affidarsi alla riffa degli episodi non è mai un merito, anche se non necessariamente una colpa, il gol non è stato uno sparo nel buio, ma la sintesi di un’azione «alla mano», da applausi, tra Verratti, Gagliardini e Politano, uomo di sinistro a rete di destro, omaggio involontario alla piroette della politica italiana.

E così sia. Uno a zero a Genk. Era un’amichevole, e dunque piano con l’incenso. Si veniva dallo 0-0 con il Portogallo e il cappio della sterilità cominciava (continuava) a stringerci la pancia, il cuore, tutto. Nella classifica Fifa l’Italia è 19a. e gli Usa sono 23mi. Mancini, poi, ne aveva cambiati sette. La trama ha ricordato, mutatis mutandis, la sera di San Siro. Poche occasioni in rapporto al dominio (però non meno di quattro, stavolta) e non più di una parata di Sirigu (come Donnarumma, sabato).

Su tutti, un deb: Sensi. Regista, interno: con mobilità e precisione. Lasciamolo crescere. Con lui, il centrocampo (Verratti più di Barella) e la fase difensiva (al netto delle girandole e degli avversari, modesti). Biraghi al 92’, Politano al 94’: il problema rimane il gol, argomento che coinvolge ultimo passaggio, rapidità, cattiveria, mira. Scritto che il migliore degli Usa è stato il portiere, Horvath, dopo Immobile è andato in bianco anche Lasagna. E da Chiesa e Berardi mi aspetto scelte più chirurgiche sotto porta. Grifo e Kean hanno acceso piccoli falò di speranza.

Ricapitolando: da Marassi a Genk la Nazionale ha cambiato marcia. L’idea zampilla e, da come viene sviluppata, sembra proprio che piaccia. Non credo che si segni così poco perché si palleggia così tanto. Serve tritolo in attacco. Non è una novità. Ma, forse, neppure un’accusa. E’ la fotografia di una generazione. O di un momento di questa generazione.