Mister B

Roberto Beccantini15 luglio 2017

Molti pazienti invocano un parere sul caso Bonucci. Procedo per punti.

1) Avevo previsto che il caso Donnarumma sarebbe finto a tarallucci e Mino. L’operazione Bonucci, invece, mi ha spiazzato.

2) Con la fuga di mister B, la Juventus perde un leader e, sul piano tattico, un regista arretrato, un battitore libero, ruolo che si è dato alla macchia ma resiste, e come. Soprattutto nelle difese a tre. Benatia, Chiellini, Rugani sono stopper. Idem Manolas, di cui si parla. Il più «libero» dopo Bonucci rimane Barzagli (classe 1981, però). E dei nomi che girano, de Vrij.

3) Con l’acquisto di mister B, e tutto il resto, il Milan compie un grande salto di qualità. Auguri (a Montella) e complimenti.

4) Ha vinto Allegri. Nel luglio del 2014 non lo avrei preso, ma riconosco che ha lavorato bene, anche se le sue squadre mi lasciano spesso la sensazione di poter fare meglio.

5) La Juventus è questa. Prendere o lasciare. Un po’ fru fru con l’Avvocato, molto rigida con il dottor Umberto, arrogante e aziendo-centrica a prescindere. Per questo, spacca le piazze. I suoi mercati, dalla Triade in su, sono sempre stati segni, non sogni (via Baggio, via Vialli e, soprattutto, via Zidane).

6) E poi ci sono i tifosi. Tutti drammaticamente uguali. Gli juventini, che godevano del tradimento di Higuain, oggi si infuriano per il tradimento di Bonucci. I milanisti, che consideravano la Juventus l’inferno terrestre, non solo hanno accolto Bonucci con la ola, ma addirittura con la fascia di capitano. Già scomparse, in molte delle biografie, il calcio-scommesse e il testa a testa con Rizzoli in un derby (allora, «vergognoso»). Dante aveva capito tutto: Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello.

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Si chiama lezione

Roberto Beccantini3 giugno 2017

Si chiama lezione. Tutto il resto, bar sport. Compreso il mio borsino, casto come i rosari di certe perpetue (Real 51, Juventus 49). C’è stata partita per un tempo, quando Juventus e Real si sono mescolati sul ring, pugili che cercavano di fiutare il senso del combattimento, che spesso, quando si tratta di una finale, combacia con il respiro della storia.

Il Real, dodici Champions su quindici finali. La Juventus, due su nove. Il senso era e rimane questo. Molto semplice, molto netto. Mi affrancai subito da coloro che scrissero che, in questa Juventus, Cristiano Ronaldo avrebbe fatto la riserva a Higuain e Dybala. Morale: doppietta di Cristiano, e fumo – tanto, tanto fumo – dai camini del Pipita e di Omarino (e pure di Dani Alves).

Niente triplete: è il meno. Restano il sesto scudetto consecutivo e la Coppa Italia. Non male. Rimane però, anche e soprattutto, la resa di Cardiff. E’ incredibile come il muro juventino, capace di disarmare Messi, Neymar e Suarez, sia crollato, letteralmente crollato, davanti a Cristiano Ronaldo e c. Di fronte ai quali, sia ben chiaro, si può perdere, e tanti hanno perso, ma non così (almeno, se sei una grande squadra).

Allegri si è giocato le sue carte, alla sua maniera, Zidane le sue. Ha vinto Zizou, un allenatore che spesso abbiamo trattato come un unto del Signore. Invece era, è, un signor allenatore.

Rimane la cesura tra primo e secondo tempo. Spiegabile solo, o soprattutto, con la crescita di una squadra intera rispetto all’altra, non di questo o quel leader, di questo o quel gregario. Capisco la delusione di un popolo, che è anche il mio, ma c’è poco da dire e, risultato alla mano, molto da fare. Il Real si era mimetizzato, la Juventus cercava di nascondere le sue paure. Che sono esplose e hanno polverizzato le risorse. Dovrà ricominciare da qui. Non è una novità. E’ la realtà.

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Il detentore, il detonatore

Roberto Beccantini2 giugno 2017

Juventus-Real Madrid: sulla carta, una partita obesa di storia, di storie. Il Real ha fatto l’Europa, la Juventus l’ha rincorsa. E se la forbice resta larga – undici Champions a due – non così drastica si profila la contabilità complessiva delle finali, quindici per i reali di Spagna, nove per i campioni d’Italia.

Si gioca a Cardiff, la terra di Gareth Bale, oh yes, ma anche di Ian Rush e, soprattutto, di John William Charles. Il gigante buono. Rispetto a Berlino 2015, questo Real mi sembra più umano di quel Barça, e questa Juventus più matura, anche se leggermente inferiore a centrocampo.

Sappiamo tutto di tutti. Zinedine Zidane l’ha vinta da giocatore e da allenatore. Massimiliano Allegri la insegue con un credito che il fatturato del triennio gli preserverà al di là di ogni ragionevole dubbio. Non solo gestione, che resta il piatto forte, ma anche lampi: il passaggio al 4-2-3-1, la mossa di Mario Mandzukic alla Samuel Eto’o, la primavera di Dani Alves.

In una notte, gli episodi possono orientare la trama più di mille lavagne. L’importante è coglierli o ribellarsi. Da una parte, Isco; dall’altra, Paulo Dybala: potrebbero essere loro, e i loro dribbling, i sassi per spaccare l’equilibrio. Oppure Marcelo e Dani Alves, Luka Modric o Sami Khedira. Senza trascurare Cristiano Ronaldo e Gonzalo Higuain, Gigi Buffon e Keylor Navas.

Le luci al neon già brillano: la miglior difesa contro l’attacco più attacco. Il Real di Zidane è il detentore, la Juventus di Allegri, oltre che l’ultima squadra ad averlo eliminato, il detonatore. Ci proverà, almeno. Entrambi si presentano con la pancia piena, entrambi sono uomini di mondo: sanno che essere arrivati fin qui è già tanto, ma tra poche ore per uno di loro sarà niente. I tribunali del web scalpitano. E allora: Real 51%, Juventus 49%. C’era più differenza a Berlino.