Buon Natale (e sei…)

Roberto Beccantini24 dicembre 2016

E’ il sesto Natale in Clinica. Anche se le circostanze, le esigenze e il flusso di pazienti mi hanno spinto verso l’Ospedale di «Facebook», il primo amore non si scorda mai. Nacque di slancio, sulle ceneri di un periodo cinico e baro per salvare molti matrimoni e non pochi patrimoni. Fedeli nei secoli, noi dello staff paramedico (e para…), al detto che rovescia l’Italia dei Mattarellum e dei Porcellum: «Agli indulti preferisco gli insulti». Non sono mai stato preso così di parola. Buon segno: pazienti apatici e distratti non avrebbero afferrato il nesso.

Ha ragione, il gentile Fulvio, quando sostiene che i miei lettori saranno sì e no quattro: ma uno è lui, cribbio. La maggioranza dei degenti è juventina e, dunque, il primo pensiero va alle minoranze: ai gentili De Pasquale, 3, mike70, Il Romanista e mi scuso per quelli che ho dimenticato o citato due volte.

Negli anni c’è chi, malato, ha lasciato la struttura e chi, guarito, vi è entrato. Ci siamo adeguati anche a questo nuovo tipo di «sano immaginario»: il più pericoloso. C’è inoltre chi, non potendo divorziare dalla moglie, ha divorziato dal suo compagno di vaffa. Il giuramento su Ippocrate mi impedisce di fare nomi.

Adesso che Renzi non c’è più, e dopo che il celebre «quarto d’ora» di Andy Warhol ha sedotto persino Massimiliano Allegri, non resta che prendere atto di come e di quanto i confini del mondo in cui viviamo siano diventati sempre più sottili, sempre più subdoli, come certifica il record di salto di Paulo Dybala tra derby e Doha.

Per questo, e per molto altro, buon Natale a tutti voi e a tutti i vostri cari (compresi gli «undici» che non sempre coincidono). Buon Natale ai figli unici di mamma lontana. Buon Natale a risultatisti e a prestazionisti, nella speranza che un giorno possa avverarsi il sonetto di Dante: «Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento».

Scusate l’anticipo

Roberto Beccantini23 dicembre 2016

Non ha senso arrivare in anticipo se poi, dopo un quarto d’ora, ci si ritira sotto la tenda. Meglio arrivare in ritardo, come ha fatto il Milan: a Doha e in partita. Hanno deciso i rigori, epilogo che diffonde sempre nuvole di lotteria, ma il verdetto globale non è iniquo. Tutt’altro.

La solita Juventus, subito a segno (con Chiellini) e poi subito in trincea o quasi. Per Allegri, i problemi sono due. Il primo riguarda i terzini: uscito Alex Sandro, è «entrato» Suso, e ha sabotato la trama. La palla del pareggio e molto altro: povero Evra. A destra, in compenso, Lichtsteiner ha sofferto Bonaventura, che dell’1-1, non a caso, è stato l’autore.

Il secondo (problema) coinvolge l’altalena Pjanic-Dybala. Verrebbe da dire, rovesciando il celeberrimo detto, meglio un «morto» che due feriti. Meglio una scelta netta di una (troppo) bipartisan. E occhio alle tre punte: dal salotto sembrano viagra, ma mettevi nei panni degli sherpa che, a centrocampo, devono trasportarne gli zaini e le munizioni.

Per aprire la scatola, Montella ha usato le «ali», Suso e Bonaventura, «ali» adeguate alle esigenze del calcio moderno. In attesa del closing, Berlusconi può così festeggiare il 29° trofeo del suo trentennio. Tanti quanti il mitico Santiago Bernabeu: sul piano numerico, almeno. La gioventù e l’anima italiana hanno portato il Milan oltre i propri limiti. Romagnoli (traversa) e Bacca stavano per scongiurare i supplementari, Dybala stava per domarli. Ecco: alla Juventus è mancata proprio la differenza di Higuain e di Dybala. Nel derby e con la Roma la fecero. Anche se sul rigore di Dybala, va da sé, la complicità di Donnarumma è stata enorme. Per la cronaca, e per la storia, il penalty decisivo se l’è preso, e l’ha realizzato, Mario Pasalic, classe 1995.

Complimenti al Milan, e buon Natale a tutti.

La spada nella roccia

Roberto Beccantini17 dicembre 2016

E’ stata una partita di grande fisicità, all’inglese, risolta da una prodezza. Il gol di Higuain, bellissimo, appartiene al repertorio dell’ex grasso-che-cola. Juventus e Roma se le sono date di santa ragione, rubandosi le fette della torta. Primi quindici minuti: solo Juventus. Poi pilota automatico. Primi venti minuti della ripresa, solo Juventus, con Szczesny che sfila il 2-0 a Sturaro. Poi, per un quarto d’ora, solo Roma (calci d’angolo, mischie, brividi). Quindi, dopo l’ingresso di Dybala, più Juventus che Roma, con Szczesny (ancora) a salvare su Sturaro (ancora).

Morale: Allegri le ha azzeccate tutte, staffette comprese (Pjanic-Cuadrado e Higuain-Dybala), Spalletti no. Gerson è stato un azzardo, non meno del recupero forzato di Salah. La Juventus è la Juventus, nessuno azzanna le partite come lei (sette gol nel primo quarto d’ora, record) e quando sembra che le scappino via, ecco Rugani, ecco Sturaro, ecco il cemento del gruppo.

Venticinquesima vittoria consecutiva in casa. E, per la Roma, sesto k.o. allo Stadium: non possono essere solo banali coincidenze, e difatti non lo sono. Non è bastato un guerriero come Nainggolan, non è bastato l’ingresso di El Shaarawy (al posto di De Rossi), non è stato sufficiente buttare il cuore oltre l’ostacolo, letteralmente. Troppo alto, l’ostacolo. Da Lichtsteiner «portiere» (sua la parata più complicata, su Manolas) a Mandzukic, ad Alex Sandro, concessionario della fascia sinistra. Il migliore della Roma? Szczesny, e già questo spiega molto. Tra i peggiori, invece, Strootman.

Le cadenze salgariane si sono inghiottite il duello tra Higuain e Dzeko. Un gol, e che gol, contro modiche sponde e zero tiri. La partita si può leggere anche così, ma sarebbe fare torto allo «sturm und drang» dell’ordalia.