Il silenzio

Roberto Beccantini8 ottobre 2014

Il gentile Riccardo Ric chiede notizie del mio silenzio.

E’ un silenzio di centimetri, perché le coccole domestiche, ancorché non così plateali come denunciato dalle guardie (?), spingeranno la Juventus a immaginarsi, in Europa, più forte di quella che è.

E’ un silenzio rispettoso di quello, e di «quelle», che si agitano dietro le quinte.

E’ un silenzio di stanchezza: sempre gli stessi slogan, sempre le solite, volgari, insinuazioni (di capitan Totti, questa volta), sempre i soliti pistolotti (Francesco, fuori le prove); sempre le immancabili minchiate via twitter; sempre i soliti appelli: «Primario, ha sentito quel che ha detto Taormina?». No. Pallotta invece sì: well done.

E’ un silenzio dettato dalla coincidenza che non si parlava di moviola in campo da Juventus-Torino del 23 febbraio, e nessuno dei Pazienti l’ha notato. State perdendo dei colpi anche voi.

E’ un silenzio che non trovo corretto interrompere per sparare sulla Croce Rossa, al secolo Carlo Tavecchio. Le sua banane sì, sono uno scandalo, non certe pere: alcune di queste, al massimo, sono errori. E poi, bloccato Louise, c’è sempre Felpa.

E’ un silenzio dovuto al fatto che ho tempestato di telefonate l’entourage della Fifa per saperne di più sul gol di Bonucci: il fuorigioco di Vidal era o non era punibile? Lo so, la «Gazzetta» si era già pronunciata, ma mi è stato detto che non mi devo fidare dei giornali italiani.

E’ un silenzio di rottura perché credo che ci fosse ben poco da aggiungere all’accusa, in arrivo, di fare di ogni erba un fascio.

Conto i minuti che mi separano da Italia-Azerbaigian. In silenzio. Tanto, la fine è nota.

Questione di centimetri, sempre

Roberto Beccantini5 ottobre 2014

Che bordello, ragazzi. Un baule pieno zeppo di centimetri familiari, non uno scrigno di gioie. Juventus-Roma: se non fosse questa, sarebbe un falso. Il 2-2 avrebbe rispettato meglio il bello e il brutto dell’ordalia, ma il calcio è un tamburo che rulla, non il violino mimato da Garcia.

Rigore di Tevez, rigore di Totti, Iturbe su assist di Gervinho, rigore di Tevez e poi, agli sgoccioli, la fucilata di Bonucci. Sette ammoniti, tre espulsi (Garcia, Morata e Manolas), un Rocchi vagone e non locomotiva fin dalle scaramucce introduttive.

Nel merito, perché siamo in Italia e solo di moviola si parlerà: c’era il penalty non concesso a Marchisio (con relativo rosso a Holebas). Non c’era quello fischiato a Maicon, un pelo fuori area (mani-comio). Rocchi, pessimo, aveva dato la punizione, l’assistente Faverani e le proteste degli juventini gli hanno fatto cambiare idea. Netto l’abbraccio di Lichtsteiner a Totti. Sul gesso della linea (e, dunque, da rigore) l’imboscata di Pjanic a Pogba.

Quanto alla posizione di Vidal sul tiro di Bonucci, bè, soltanto lo stupro del fuorigioco può giustificarla. Contente Fifa e Uefa, contenti (quasi) tutti. Dopo che in Athletic-Napoli la corsa di Aduriz sul gol di Ibai Gomez venne considerata regolare, sorry, tutto diventa lecito. Ho tante colpe, e me le prendo, ma non quella di aver agevolato il «fuorigiochicidio».

Tornando al calcio giocato: troppa isteria, non proprio uno spot ideale per la clientela europea. Mi hanno deluso, in ordine sparso, i leader: Pirlo, al rientro, Pjanic, Totti. Allegri se l’è giocata tra lotta e governo, Garcia con la velocità di Gervinho e Iturbe. In generale: più paura che coraggio.

Rare le occasioni: di Gervinho, di Pjanic, di Pogba, di Morata (traversa scheggiata). Il verdetto spacca la coppia di testa, ma tranquilli: non è un divorzio. La Roma è più vicina.

La solita minestra

Roberto Beccantini1 ottobre 2014

E’ stata una partita molta brutta e molta italiana, l’ha vinta la squadra che almeno ha tirato: uno per tempo, il primo parato, il secondo (di Arda Turan) no. La Juventus lascia il Calderon con il possesso palla (61% a 39%), per la libidine dei fusignanisti, sei ammoniti e il portiere avversario senza voto.

Per carità, lo zero a zero sembrava scolpito, ma gli episodi, si sa, non rispettano la dittatura dei numeri. In Italia, a parità di trama, Allegri ne sarebbe venuto a capo. In Europa è diverso. Simeone l’ha aspettato, soffocato, incartato. Mi hanno deluso i pezzi grossi, da Tevez e Llorente a Marchisio, Vidal e Pogba. Troppo imprecisi, nelle rifiniture.

Finalista dell’ultima Champions, l’Atletico ha perso Courtois, Filipe Luis e (soprattutto) Diego Costa, ma è sempre lì, una manica di operai indiavolati che, per la maglia, danno tutto. I paragoni tra Conte e Allegri si rincorrono maliziosi. I conti per ora tornano. Anche a livello europeo. Siamo sempre lì: la qualità, ammesso che sia poi così evidente, non riesce a uscire; e con la qualità, la personalità.

Non è una sconfitta che pregiudica il futuro, visto che, paradossalmente, la prima del gruppo è proprio la Juventus. E’ una sconfitta, se mai, che non allontana il passato. I ritmi avvolgenti ma lenti, suggeriti dal mister, possono spaventare un Milan, non certo un Atletico, che su difesa e contropiede ha costruito il suo regno, legnando addirittura il Real.

Se la Roma è squadra verticale, la Juventus sta diventando sempre più orizzontale. Manca, fu Conte a lanciare l’allarme, un Cuadrado, un Gervinho: gente capace, cioè, di sostituire le azioni alla mano tipo rugby, specialità della casa. I cambi di Allegri appartengono alle lotterie delle bocciofile. Pensierino della notte: a volte, non basta tenere la palla per essere coraggiosi.