Che Paese, ragazzi. A Genova, dopo i sei morti, la classe politica è sotto accusa per carenza di prevenzione. A Napoli, dopo la morte di Napoli-Juventus, la classe politica è sotto accusa per eccesso di prevenzione. Non credo che il prefetto Andrea De Martino sia un mascalzone – al massimo, un fifone – e allora accetto la sua scelta. All’estero, soprattutto in Inghilterra, più di una partita è stata ritardata o rinviata perché, attorno allo stadio «agibile», la neve o la pioggia avevano sabotato strade, ponti, cavalcavia, rendendo pericoloso il flusso dei tifosi. Ricapitolando: per una volta che, in Italia, la sicurezza dello spettatore «fisico», da stadio, viene preferita agli agi dello spettatore «virtuale», da salotto (quorum ego), non sarà certo il sottoscritto a gridare al complotto, all’inghippo, a un san Gennaro fazioso oltre ogni ragionevole ampolla. L’italiano, del resto, è campione del mondo nelle analisi post-ventive e ultimo, staccato, nelle diagnosi pre-ventive. Detto che il rinvio ha favorito più il Napoli che la Juve, le polemiche legate alla data del recupero appartengono agli istinti tribali del nostro mondo, istinti, che, al varo del calendario, Aurelio De Laurentiis sintetizzò con il suo memorabile «siete tutti delle m.».
Il lato buffo della vicenda è la delusione del presidente della Lega calcio, Maurizio Beretta, avvisato «solo» per telefono. Beretta è un presidente dimissionario in quota Unicredit (Roma): dimissionario anche dalle dimissioni che ha rassegnato e, dunque, sempre lì. Gli ricordo sommessamente che, nel gennaio 2010, non si disse «deluso» dall’invasione di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, che aggiustò il calendario aziendale per alleggerire l’approccio al derby. De Martino, cause di forza maggiore. Galliani, forze di causa maggiore. E Galliani non era nemmeno prefetto.