Era uno spareggio, e come tale l’hanno giocato. A ritmi così isterici che i piedi hanno faticato a reggerne lo strascico. Mai, o quasi mai, un pit-stop. Sempre a tavoletta. E alla fine: 1-1. In vantaggio, la Juventus, già al 9’ con Thuram: complice una spanciata di Skorupski. Il pari del Bologna al 54’, in mischia, con Freuler e carambola di Veiga.
In mezzo, l’aggressività di Italiano, il mordi e fuggi di Tudor, un forte sospetto di rigore su Freuler (di McKennie), un arbitraggio (diritti e «Doveri») che lasciava allegramente menare e volleare (Savona). Ma anche una suola di Cambiaso in fuorigioco (citofonare Mkhitaryan): sarebbe stato lo 0-2. E una scivolatona di Alberto Costa al momento dello sparo, in piena bolgia: sarebbe stato l’1-2.
La Juventus era decimata, letteralmente, e nelle ripresa ha perso persino Cambiaso. Il Bologna aveva i suoi, di infortunati, da Holm a Ndoye, e, come sempre, ha vomitato pressing da ogni poro. Non all’inizio, però, quando era stato Thuram, il migliore, a rubargli l’idea. In compenso, alla distanza, Cambiaghi, Ferguson (vicino al 2-1 nel finale), Orsolini e Freuler (ma non Odgaard) hanno condotto la trama sulle sequenze preferite: la garra, i corpo a corpo, le folate sulle fasce.
Centravanti cercasi. Da Vlahovic a Kolo Muani il ruolo rimane un guscio vuoto. L’ordalia mi ha avvinto. Tosta e irriducibile, la Juventus: al Dall’Ara, per la cronaca, ci avevano lasciato le penne le milanesi, la Lazio (per 5-0, addirittura), e il Napoli, rimontato, non aveva certo sofferto di meno (anzi).
Gli spiccioli concessi a Conceiçao e Douglas Luiz riassumono lo spirito del tempo (e del mercato). Per la Champions, balla un posto: Juventus, Roma e Lazio 63; Bologna 62. Mancano tre turni. Venerdì Milan-Bologna, sabato Lazio-Juventus, lunedì Atalanta-Roma. Votate.
Grazie,o magico Impera,per tornare tra di noi
Brutto, veramente brutto leggere cotanta ignoranza davanti ad una partita splendida che ha riconciliato tante persone e soprattutto tanti giovani con questo sport.
È dura vedere una storica rivale vedere trionfare e vestire l’abito delle grandi serate , così come lo vestivamo noi quando arrivavamo in finale di Champions eliminando sulla nostra strada Real e Barcellona.
Ma il calcio è fatto di uomini, pragmatici, sapienti, oculati, come Beppe Marotta alla Juventus oggi all’ Inter, che costruiscono squadre e senso dell’ appartenenza a partire da calciatori italiani.
I risultati si misurano con questi parametri, ed è solo così che porti 80.000 persone allo stadio straripanti di passione mai doma, come fu nel nostro stadio negli anni d’oro.
Non si arriverà mai a giocare una finale di Champions con Kelly, Douglas Luiz, Alberto Costa e Vlahovic, bensì sapendo scegliere un allenatore come Inzaghi (così come Marotta scelse Conte e poi Allegri), e portando a casa Barella prima e Frattesi poi, per aggiungere Dunfries e Thuram e non certo un rinnovo a Milik lungodegente perenne senza un perché.
Battere un Barcellona così, con una elevatissima qualità tecnica, da le certezze che il lavoro fatto sul campo ed in società è stato di qualità eccelsa. Poi c’è il fato, il destino, la pallina che gira sulla roulette: a volte premia più il cuore e l’audacia che il valore.
Stasera è stato così. Sportivamente dico brava Inter, la rivalità perpetua è un’altra cosa e quella rimane.
Nello sport, perché la vita è un’altra cosa.
Dino Zoff.
Brutto, veramente brutto leggere cotanta ignoranza davanti ad una partita splendida che ha riconciliato tante persone e soprattutto tanti giovani con questo sport.
È dura vedere una storica rivale vedere trionfare e vestire l’abito delle grandi serate , così come lo gestivamo noi quando arrivavamo in finale di Champions eliminando sulla nostra strada Real e Barcellona.
Ma il calcio è fatto di uomini, pragmatici, sapienti, oculati, come Beppe Marotta alla Juventus oggi all’ Inter, che costruiscono squadre e senso dell’ appartenenza a partire da calciatori italiani.
I risultati si misurano con questi parametri, ed è solo così che porti 80.000 persone allo stadio straripanti di passione mai doma, come fu nel nostro stadio negli anni d’oro.
Non si arriverà mai a giocare una finale di Champions con Kelly, Douglas Luiz, Alberto Costa e Vlahovic, bensì sapendo scegliere un allenatore come Inzaghi (così come Marotta scelse Conte e poi Allegri), e portando a casa Barella prima e Frattesi poi, per aggiungere Dunfries e Thuram e non certo un rinnovo a Milik lungodegente perenne senza un perché.
Battere un Barcellona così, con una elevatissima qualità tecnica, da le certezze che il lavoro fatto sul campo ed in società è stato di qualità eccelsa. Poi c’è il fato, il destino, la pallina che gira sulla roulette: a volte premia più il cuore e l’audacia che il valore.
Stasera è stato così. Sportivamente dico brava Inter, la rivalità perpetua è un’altra cosa e quella rimane.
Nello sport, perché la vita è un’altra cosa.
Dino Zoff.