Mesta d’addio

Roberto Beccantini9 June 2025Pubblicato in Per sport

Non poteva essere una festa, la sera di Reggio Emilia, ma non la immaginavo neppure così mesta. Era l’ultima di Luciano Spalletti, contro la Moldova, 154a. nella classifica Fifa (noi, noni). Ne è uscito un apallico 2-0, firmato da Raspadori nel primo tempo e da Cambiaso nel secondo. Ci voleva Gravina-Slavina per imporre – ripeto: imporre, non offrire – il bicchiere della staffa a un allenatore esonerato per aver deluso le aspettative, ma mai eluso le conseguenze («Ho fallito». «Giocatori stremati? Colpa delle mie scelte»).

Haaland ha segnato anche in Estonia e così il nostro Mondiale, appena nato, resta appeso più ai playoff che non all’idea del golpe. Lo stadio non sapeva come regolarsi: fischiare la patria traditrice o incoraggiarla comunque, memore di quel passato che, da Gigi Riva agli eroi del 1982, non passa e, per fortuna, mai passerà?

I moldavi, che in casa dai norvegesi ne avevano presi cinque (a zero), avrebbero meritato di segnarne almeno uno. Catenacciari, sì, ma non al punto di non accorgersi dei fantasmi che avevano di fronte; e, per questo, di «bombardarli» ai fianchi. Poi, è chiaro, escono le lavagne ed entrano i piedi, e allora può finire com’è finita. Coraggio. Il mio regno per un dribbling: scritto e riscritto fino alla prescrizione. Abbasso i soliti pistolotti da Demostene falliti (la stanchezza, gli stranieri, i vivai, l’amore per la maglia). Sono «sostanze» che spacciamo dalla Corea del 1966. «Gravina vattene», recitava uno striscione. Era il 2017, quando proprio l’hombre di Castel di Sangria disse: «Presidente Tavecchio si dimetta, il calcio italiano ha bisogno di profonde rivoluzioni». Capito da che pulpito?

Tocca a Ranieri. L’autore del miracolo Leicester e della rimontona della Lupa. Il doppio ruolo Nazionale-Roma? Per carità: in Italia i conflitti d’interesse non sono (quasi) mai un problema. Anzi: diventano spesso la soluzione. Auguri, di cuore.

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