Quando decide il migliore, poco da dire. E se risolve addirittura una finale di coppa, molto da celebrare. Il gol di Dan Ndoye – di destro, dal cuore dell’area, lui che è un’ala, su auto-assist di Theo, disturbato da Orsolini – ha premiato il Bologna e bocciato il Milan. Non è stata, sotto il ciuffo di Sinner, una notte di smorzate e slice, di pallonetti e volée. Anzi.
Veniva, Italiano, da tre finali perse, tutte con la Viola (2 di Conference, 1 di Coppa Italia). Passava per un perdente di successo, l’etichetta che piace ai critici di insuccesso. Ereditò da Thiago una squadra da Champions, ma non la stessa rosa, viste le partenze di Calafiori e Zirkzee. In estate si smoccolava. Oggi si canta «Bologna campione» di Dino Sarti e si pensa ai «bei passeroni» ai quali Civ avrebbe dedicato un epinicio dei suoi.
Il problema del Milan era l’aggressività dei rivali. Il problema del Bologna, la difesa dalle punture di Leao. Ha vinto il pressing di Freuler e c. Il cuore ha domato il censo. Un riflesso di Maignan su Castro, un doppio Skorupski su Beukema (!) e Jovic, un equilibrio ispido, fra botte (molte) e botti (rari). La mossa Jovic pagò con l’Inter, non stavolta. Supplente da gennaio, Conceiçao resta così abbarbicato alla Supercoppa di Riad. Temo che non basterà .
Che delusione, i tenori: da Rijnders a Pulisic, da Theo a Leao, piano piano scomparso dai radar (un classico, là dove infuria la tempesta). Un disastro, Joao Felix. Nulli, gli spiccioli di Gimenez, Abraham e Chukwueze. Ha chiuso, Italiano, togliendo l’Orso grigio e piazzando, a destra, Casale e Calabria. Mica fesso. Roma, città santa: il 7 giugno 1964, lo scudetto a spese dell’Inter. Il 14 maggio 2025, la Coppa Italia strappata al Milan, la terza della saga dopo quelle del 1974 (all’Olimpico, sempre) e del 1970. Complimenti ai cuochi. E cameriere, turtlein.