Apre il circo Infantino

Roberto Beccantini14 June 2025

Apre, nella notte italiana, il Circo Infantino. Il primo Mondiale per club a 32 squadre, tutto Getta e Usa, l’ennesimo piano Marshall per distribuire mance e raccattare voti. Il calcio de’ noantri sarà rappresentato dall’Inter di Chivu (al gran debutto) e dalla Juventus di Tudor, ora che il dato è tratto.

Si gioca in un periodo delicato e dedicato, di solito, alle ferie e a una lenta, metodica, ripresa. Non è un Mondiale né un Europeo, che succhia manodopera un po’ qua e un po’ là. E’ una ruspa che rischia di sventrare rose intere. Prova generale del Mondiale per nazioni che nel 2026 – tra Canada, Messico e Stati Uniti – coinvolgerà qualcosa come 48 «clienti» rispetto ai 32 delle ultime edizioni. I calendari «dopati» sono ormai la regola e non più l’eccezione: anche se – casualmente o curiosamente: fate voi – il Paris Saint-Qatar si è pappato la sua prima Champions poco dopo il taglio da 20 a 18 squadre, sancito in Francia nella stagione 2023-2024.

Immagino i sorrisi del Napoli di Adl e del Martello. Mentre i Caini si scanneranno oltre Oceano, De Bruyne potrà prendere atto, con la serenità degli esploratori sazi ma vigili, del nuovo mondo che ha appena scoperto. Certo, in America si potranno testare i nuovi, i prestiti, qualche giovane e, magari, fiutare la «mano» degli aspiranti stregoni, stirpe scossa nel profondo dal trasloco di Inzagone/Inzaghino da Appiano a Riad.

C’è Messi con l’Inter di Miami («Maiamai», alla Fiorello). C’è il Real del primissimo Xabi Alonso e dell’ultimissimo Modric. Le locandine scoppiano di stelle (molte e molto a strisce, visto l’ingorgo). Il campionato comincia il 23 agosto, il rodeo yankee chiude il 13 luglio. Naturalmente, celebreremo il vincitore secondo geopolitica (e, soprattutto, geo-edicola). Money-moon, più che honey-moon.

Mesta d’addio

Roberto Beccantini9 June 2025

Non poteva essere una festa, la sera di Reggio Emilia, ma non la immaginavo neppure così mesta. Era l’ultima di Luciano Spalletti, contro la Moldova, 154a. nella classifica Fifa (noi, noni). Ne è uscito un apallico 2-0, firmato da Raspadori nel primo tempo e da Cambiaso nel secondo. Ci voleva Gravina-Slavina per imporre – ripeto: imporre, non offrire – il bicchiere della staffa a un allenatore esonerato per aver deluso le aspettative, ma mai eluso le conseguenze («Ho fallito». «Giocatori stremati? Colpa delle mie scelte»).

Haaland ha segnato anche in Estonia e così il nostro Mondiale, appena nato, resta appeso più ai playoff che non all’idea del golpe. Lo stadio non sapeva come regolarsi: fischiare la patria traditrice o incoraggiarla comunque, memore di quel passato che, da Gigi Riva agli eroi del 1982, non passa e, per fortuna, mai passerà?

I moldavi, che in casa dai norvegesi ne avevano presi cinque (a zero), avrebbero meritato di segnarne almeno uno. Catenacciari, sì, ma non al punto di non accorgersi dei fantasmi che avevano di fronte; e, per questo, di «bombardarli» ai fianchi. Poi, è chiaro, escono le lavagne ed entrano i piedi, e allora può finire com’è finita. Coraggio. Il mio regno per un dribbling: scritto e riscritto fino alla prescrizione. Abbasso i soliti pistolotti da Demostene falliti (la stanchezza, gli stranieri, i vivai, l’amore per la maglia). Sono «sostanze» che spacciamo dalla Corea del 1966. «Gravina vattene», recitava uno striscione. Era il 2017, quando proprio l’hombre di Castel di Sangria disse: «Presidente Tavecchio si dimetta, il calcio italiano ha bisogno di profonde rivoluzioni». Capito da che pulpito?

Tocca a Ranieri. L’autore del miracolo Leicester e della rimontona della Lupa. Il doppio ruolo Nazionale-Roma? Per carità: in Italia i conflitti d’interesse non sono (quasi) mai un problema. Anzi: diventano spesso la soluzione. Auguri, di cuore.

La vigliaccheria di Gravina

Roberto Beccantini8 June 2025

Brutto giallo, questo della Nazionale, scritto malissimo dall’autore (Gravina), con l’assassino noto fin dalle prime pagine post Norvegia e pre Moldova, e addirittura reo-confesso: Spalletti. Esoneratosi perché esonerato. Eppure quando Slavina lo soffiò a De Laurentiis e lo presentò in pompa magna il 18 agosto 2023, ci genuflettemmo tutti ai suoi piedi, suoi di Luciano, felici che fosse lui, proprio lui, l’erede del fuggitivo Mancini.

Invece: là dove c’era l’erba di Osimhen, Kvara, Lobotka, Anguissa, è sorto un formicaio rivelatosi più fragile e ingolfato del previsto. E così: fuori negli ottavi, agli Europei, dominati dalla Svizzera; eliminati dalla Nations League per mano tedesca; bastonati 3-0 dalla famiglia Odegaard, con il Mondiale pericolosamente in bilico. Sarebbe il terzo fallimento di fila, dopo Ventura (Svezia) e Mancio (Macedonia del Nord). Sarebbe una tragedia, sì, ma pure una tendenza, inutile nascondersi dietro le parole.

Quando dai troppa importanza agli allenatori, e troppo poca o non altrettanta ai giocatori, può succedere – anzi, succede spesso – che i risultati spingano sul rogo i tecnici, pagati per appagare e, se non ci riescono, per pagare. Mi ha colpito la vigliaccheria di Gravina, pessimo custode di un regime che censura più i 40 anni di Modric che non gli 85 di Carraro. Ha voluto pararsi il sederino cedendo alle fregole forcaiole di alcuni giornali, non proprio il massimo della coerenza. Sconta, l’abate di Certaldo, il trasloco brusco da mister a selezionatore, mestieri diversi assai.

Ricominciamo, canta Pappalardo. Da Ranieri o da Pioli, pare. Domani sera, la Moldova a Reggio Emilia. L’ultima di Spalletti. Giocatori senza alibi, si scrive in questi casi. Con un immancabile cenno agli stranieri, invasori e invadenti, che per la cronaca pullulano anche in Spagna. Gli Slavina, invece, solo da noi.