Pazza idea. E Napolione

Roberto Beccantini13 September 2025

Ormai il derby d’Italia ha preso la strada del calcio di una volta, quando i gol fioccavano e le madonne aspettavano, quiete, nei ritratti delle parrocchie. Il 27 ottobre 2024, Inter-Juventus era finita 4-4 (da 4-2). Il 13 settembre 2025 Juventus-Inter è terminata 4-3, con un’alternanza da ritiro della patente: 1-0, 2-1, 2-3. Polvere da sparo, dunque. Quattro gol da fuori area, a proposito di droni o non droni. E, nel complesso, una «pazza idea» non molto lontana da Israele-Italia 4-5 di lunedì.

Riassumo per sommi capi. 1) L’incidenza dei turchi: Yildiz, gol e assist; Calhanoglu, sinistro e destro. E domani, a Riga, gli ottomani contenderanno l’Europeo del basket alla Germania, sochmel; 2) Il piano B (traduzione: il muro di Bremer) è caduto. Era nella vaselina dei titoli. Paradossalmente: meglio nella distribuzione dei «pacchi», il piantone. 3) Fratelli coltelli: testa di Marcus Thuram (che non esulta), rete; testa di Khéphren Thuram (che esulta), rete. Fin lì: più Marcus che il germano. 4) Vlahovic abbandonato, Lautaro accerchiato. 5) Dopo un primo tempo scoppiettante, per una ventina di minuti Inter padrona e Juventus a catenaccio, timida, prona; poi, una volta sotto, avanti Savoia.

6) Senza Cambiaso e il suo casino organizzato, senza Little Conceiçao e le sue bollicine. Koopmeiners: mossa, più che scossa. I cambi: sembravano favorevoli a Chivu. Anche perché Cabal non giocava da una vita e Adzic, 19 anni, beh, insomma, era proprio il caso? Alzi la mano chi non l’ha scritto o pensato. Suo il montante destro che ha spaccato la mascella del tabellino. E allora: Tudor genio (e che signore, nel parlare di «pareggio più giusto» e di Juventus ambigua). C’est la vie. 7) Inter: sempre forte, ma sei gol incassati in due partite, nonostante il debutto di Akanji, cominciano a essere troppi. Fatti, non parole. 8) Juventus: il piatto mancino di «Kelly che» (alla Beppe Viola) aveva aperto la sparatoria.
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Un po’ di ricreazione, ma sì

Roberto Beccantini8 September 2025

Ma sì, un po’ di ricreazione non guasta. Soprattutto in questo avventurato scorcio. Dalla riffa del deserto di Debrecen è uscita Israele-Italia 4-5. E così, nelle eliminatorie mondiali, siamo secondi, con la Nazionale di Ben Shimon, dietro la Norvegia. Il tabellino è un elenco del telefono: autogol di Locatelli, Kean, Dor Peretz, Kean, Politano, Raspadori, autogol di Bastoni, Dor Peretz, Tonali (al 91’). E l’alternanza, montagne russe da Luna Park: 1-0, 2-1, 2-4, 4-4 fino al «più» colpo dei colpi di scena.

Scritto che, nella classifica Fifa, l’Italia è undicesima e Israele 75°, venirne a capo tatticamente non è facile. Gli «slavinisti» parleranno di bicchiere mezzo pieno: il doppio centravanti (Retegui, Kean: 5 reti in due partite); le correzioni di Gattuso (Tonali defilato); il carattere. Resta, allora, il bicchiere mezzo vuoto: l’approccio in pantofole; le dormite difensive (spesso Bastoni e, in avvio, persino Donnarumma, poi provvidenziale); la siesta sul 4-2. Israele, lo aveva già macinato l’Italia di Spalletti in Nations League: 2-1 a Budapest, 4-1 a Udine. Calma, dunque.

Molto bravo Solomon, tra gli avversari. E una tecnica di base che il serbatoio giovanile sta lucidando. La malizia verrà. Tornando ai nostri, Raspa continua ad andare in panchina e a segnare non appena entra. Se devo scegliere un simbolo, al netto delle lecche di Moise e degli assist del «Chapita», scelgo Locatelli, al rientro: harakiri, traversa, «parata» fondamentale su Gloukh (sarebbe stato il 3-3). Era il febbraio del 1970 quando, a Madrid, nella pancia dell’amichevole Spagna-Italia 2-2, due autogol costarono il Messico a Billy Salvadore. E’ l’archivio che borbotta.

Da «ah, se avessimo un centravanti» al «porca vacca, se mai nascesse un difensore», c’è tutto il mondo che, come cantava Jimmy Fontana, gira nello spazio senza fine (e senza un fine, forse).

In dolce attesa

Roberto Beccantini5 September 2025

Era da tempo che la Nazionale di calcio non faceva da damigella a un altro «cavaliere». E così, in attesa di Sinner, e con un occhio ad Alcaraz-Djokovic, è scivolata in archivio Italia-Estonia 5-0. A Bergamo, per le qualificazioni mondiali. La prima di Rino Gattuso. Non un milordino come Mancio, e nemmeno un abate da Nome della rosa alla Spalletti. Un mediano da una vita, e anche oggi, per come morde e ringhia dietro il destino.

Che tintinnino pure i bicchieri, dunque, a patto che le dosi di vodka siano commisurate alla fragile sobrietà dell’avversario: 126a. nella classifica Fifa, la gaia Estonia ha retto per un’ora (58’, a essere pignoli). Sino a quando, cioè, Hein ha parato tutto e i legni (due) gli hanno dato una mano. Dopodiché, il diluvio: Kean, Retegui, Raspadori, Retegui, Bastoni. A fronte di un tuffo, dicasi uno, del Donnarumma City.

Cinque gol, in assoluto, non sono pochi. Li ha prodotti una fabbrica quasi mai fordista. Ha pagato l’idea del doppio centravanti. Retegui, Kean. Capocannoniere (con 25 reti) e vice (con 19) dell’ultimo rodeo. Vicini, affamati e, finalmente, serviti. All’«arabo» felice, il popolo della Dea ha dedicato applausi devoti: la memoria sarà pure pigra e vezzosa, ma insomma. La catena di destra (Di Lorenzo-Politano) e quella di sinistra (Dimarco-Zaccagni) hanno pompato azioni e garantito munizioni. All’altezza anche i cambi, dal Raspa atletico a Cambiaso.

Hanno giocato, gli azzurri, come se sapessero di avere la coscienza un po’ sporca, e come se, al di là di chi c’era o non c’era, lo schifo di Oslo e il mesto 2-0 alla Moldova dovessero essere lavati nell’orgoglio e non solo attraverso la cacciata del Certaldese.

Lunedì sera, sul neutro di Debrecen, Israele-Italia. Vale lo «spareggio» per il secondo posto. A meno che la banda Haaland non deragli.