Era la prima di Chivu a San Siro: 5-0 al Toro. Difficile resistere alla tentazione di correre all’ultima di Inzaghi, in Baviera: 0-5 con il Paris. In questi casi, lo scarto spalanca la torta dell’analisi alla golosità degli invitati: troppo forti, i vincitori; troppo deboli, i vinti. Come non dar loro ragione: ma perché?
E’ qui che ci si addentra nella giungla del Dna, per fissare – se possibile – le diversità del nuovo dal vecchio. E allora: l’incornata di Bastoni, su angolo di Barella (vice Calha: in regia e dalla bandierina) appartiene al menù della casa. Il raddoppio di Thuram, a un rigurgito di fame, alla tendenza suicida dei granata e alla stoffa di Sucic. Il tris, a un regalone di Gineitis scartato da Lautaro, in scivolata. Il quarto, a un altro piatto della cucina aziendale (cross di Bastoni, crapa di Thuram, benedetto da papà e fratello). Il quinto, all’ennesimo disastro in uscita dei rivali, a un fraseggio corto e al suggello di Bonny.
I cambi degli allenatori, e i ruttini da digestione, hanno impedito che il risultato si librasse verso proporzioni ancora più mortificanti. Non poteva alzarsi meglio dai blocchi, l’Inter. E non poteva decollare peggio, il Toro. Già alle corde contro il Modena, in coppa (e in casa). Baroni, che con la Lazio ne aveva presi sei all’Olimpico, salvo agguantare proprio a Meazza, con Pedro, il 2-2 che avrebbe trasferito lo scudetto al Napoli, ha urgente bisogno di sentinelle meno «smandrippate» e dei muscoli di Zapata, l’unico in grado di garantire quell’idea di coraggio che Cairo, tirchio com’è, fatica a trasmettere.
Mani(ta) in alto. Dunque. La scorsa stagione, il 17 agosto 2024, l’Inter era salpata dal Marassi genoano con un 2-2 che sembrò, lì per lì, una banalissima puntura di zanzara. Chi poteva immaginare che in panchina, il 25 agosto 2025, ci sarebbe stato Chivu?