Una domanda

Roberto Beccantini2 November 2014

Mi scrive un paziente, il gentile Lex: «Il Borussia che è primo nel suo girone di Champions e penultimo in Bundesliga, ieri [sabato] fino a 20 minuti dalla fine stava vincendo. Il Bayern asfaltatore della seconda in Italia ha faticato. Mi piacerebbe vederci anche solo contro il Borussia».

Lo spunto giustifica una riflessione. Quel Borussia che tutti citiamo come modello virtuoso di bilanci, campione di Germania nel 2011 e 2012, finalista di Champions nel 2013, fucina di talenti, corre in Europa e ansima in patria. Nel dettaglio: 2-0 all’Arsenal in casa, 3-0 all’Anderlecht e 4-0 al Galatasaray in trasferta. In chiave domestica, viceversa, la miseria di 7 punti in dieci partite, distribuiti fra due vittorie, un pareggio e lo sproposito di sette sconfitte.

Eppure l’allenatore è sempre Jurgen Klopp: il mago che perde le chiavi solo in aereo, nella pubblicità, mai in panchina.

Il Borussia di Ciro Immobile, ultimo in classifica.

Il Borussia che cede i migliori (da Mario Goetze a Robert Lewandowski) quasi sempre ai migliori (il Bayern).

E allora mi chiedo e vi domando: cosa significa l’andamento lento-rock del Borussia, che l’Europa è meno allenante della Bundesliga? O che forse un campionato capace di spedire alla periferia della periferia una delle più agguerrite formazioni del continente merita di essere preso a esempio per l’equilibrio «verso l’alto» che produce e diffonde?

In Italia, la prima della classe rischia grosso persino con i greci, la seconda è stata spappolata nella sua tana dal Bayern e quella che reputo comunque la terza forza è già stata silurata dall’Athleltic Bilbao. Credo che, in materia, non esistano leggi scritte. Ciò premesso, io vorrei essere tedesco. Voi?

Due spari nel buio

Roberto Beccantini1 November 2014

Sarebbe da scudetto anche il Napoli che ha asfaltato la Roma, ma non sempre Benitez ottiene una difesa così solida e un contropiede così micidiale. Il primo tempo di Napoli-Roma mi ha ricordato quello di Roma-Bayern: Higuain, Insigne, Callejon e Hamsik avrebbero potuto segnarne almeno quattro, non uno.

Un anno fa, Garcia le aveva vinte tutte dieci. Al di là del record, clamoroso e irripetibile, credo che c’entri anche il logorio della Champions. E la Juventus? Continua a regalare fette robuste di torta, ma a Empoli ha ritrovato due strumenti cruciali: la punizione di Pirlo, complici gli alti e Bassi del portiere, e la rapidità di Morata. Rapidità di gamba, di testa, di tiro. Non una grande Juve, per carità. Veniva dal k.o. di Marassi, e Allegri aveva praticato un congruo turnover. Tanto per rendere l’idea di quanto il calcio sia metà riffa e metà scienza: mercoledì, Buffon non aveva effettuato parate di rilievo; questa volta ha salvato su Pucciarelli e Tavano.

La Roma è attesa dal Bayern, a Monaco; la Juventus attende l’Olympiacos, a Torino. Snodi cruciali. Gli infortuni di Ogbonna e Asamoah agitano la vigilia. La Juventus non incanta (ma nemmeno la Roma, appena i rivali costringono Gervinho a muoversi in orizzontale e non in verticale). La manovra scorre macchinosa, facilmente leggibile. Continua a colpire legni (già dieci, fra pali e traverse), continua a soffrire il pressing alto.

Giovinco ha procurato la munizione del primo gol; Tevez, entrato al suo posto, ha liberato il sinistro di Morata. A Empoli, la Roma aveva vinto su autogol e il Milan pareggiato in rimonta. Questo passa il convento, non altro.

La Juventus ha gli stessi punti di un anno fa, la Roma otto in meno. Nessun dubbio che rimangano le più forti. L’impressione è che siano meno brillanti, più «giocabili».

Allarmopoli

Roberto Beccantini29 October 2014

Dalla lotteria di Marassi, la scorsa stagione uscì la punizione di Pirlo. Questa volta è uscita la zampata di Antonini, servito da Matri. Antonini aveva sostituito Rosi, Matri aveva rimpiazzato Pinilla. E così la Juventus di Allegri cade per la prima volta in campionato dopo aver giocato la solita partita: avvio molle, calcio wrestling per lunghi tratti, con corredo di pali, traverse e il portiere avversario – da Roberto a Perin – migliore in campo.

Pirlo in panchina e Buffon alla 500a. sono coriandoli che il vento nasconde ai rimorsi. Coraggioso, Gasperini, a far debuttare un diciassettenne: Rolando Mandragora, piccolo guerriero di metà campo. La Sampdoria aveva bloccato la Roma, il Genoa batte la Juventus: il desco dei poveri stappa champagne. Se volete buttarvi sulle zolle, o sui due gialli che in avvio Mazzoleni aveva risparmiato a Marchesi e Rosi, prego, accomodatevi.

Atletico, Olympiacos, Genoa: terzo 0-1. E’ un periodo che va così. In assenza di fantasia (e di un dribbling, per Brio!), Allegri propone il menu della casa, che contempla i lanci di Chiellini e Bonucci (uffa) e i movimenti di Tevez tra le linee. E se a un tavolo ordinano un’incursione di Marchisio, Pogba o Vidal, il cameriere risponde «desolato, ma le ho finite».

Poi, è chiaro, se ti riduci alla riffa degli episodi, puoi perdere col tuo portiere senza voto e l’altro almeno da sette, ma queste non sono attenuanti, sono coincidenze. Il pareggio di Reggio, la sconfitta di Marassi: gli indizi cominciano a crescere. Gasperini ha armato un pressing furioso, al quale i campioni hanno opposto le solite flebo di sportellate. Frizzante l’ingresso di Morata, misteriosa la rinuncia a Giovinco.

Allegri ha gli stessi punti di Conte e, dunque, il problema non è la classifica. Il problema è il logorio della rosa, la manovra rimasticata, triste, i rubinetti del destino chiusi.