Carramba che rigori!

Roberto Beccantini7 luglio 2021Pubblicato in Per sport

Carramba che rigori, avrebbe cantato Raffaella. L’Italia si gioca domenica l’Europa al termine di una semifinale di sofferenza inaudita, con la Spagna sempre o quasi sul pulpito. Ma il calcio non è il basket, nel calcio il possesso palla è indicativo, non risolutivo. Il nostro merito è stato di rimanere sempre dentro la partita, con i denti, con una difesa che, sarà stata l’aria di Wembley, in alcuni tratti rimandava ai catenacci del Novecento. Il gol di Chiesa, il gol di Morata, il rigore che Donnarumma, voto 8, ha parato allo stesso Morata, il bisturi di Jorginho dopo che Unai Simon aveva disarmato Locatelli, ma non Belotti, non Bonucci e neppure Bernardeschi: serviva un vincitore, il destino l’ha scovato fra i vicoli di quello che non sapremo mai come chiamare, se poligono o lotteria.

Per un tempo, la Spagna ci ha nascosto la palla. Luis Enrique aveva rinunziato a Morata, largo a Oyarzabal, con Olmo falso nueve e Ferran Torres a sinistra, nella zona presidiata da Di Lorenzo (7). Pedri (7,5), Busquets (7) e Koke (6), le gite di Olmo ci rubavano il tempo, lo spazio, tutto. Altro che bella addormentata nel bosco: Spagna sul pezzo, come se la scatola nera fornisse le stesse rotte delle antiche traversate.

Si mangiava un gol Oyarzabal, smarcato da Pedri (e da chi, se no?), Donnarumma salvava su Olmo, migliore per distacco (ma non per dischetto): 8. E l’Italia? Per paradosso, ma non troppo, Bonucci (6) e Chiellini (6) pativano l’assenza di un centravanti d’area, costretti com’erano a tenere d’occhio gli infiltrati di turno. Chiesa, si sa, ha bisogno di campo, e Jordi Alba (6,5) non glielo concedeva. Nella terra di mezzo, si ballava: Barella (5), Jorginho (7, pensando alla riffa finale e fatale) e Verratti (5) erano sistematicamente anticipati o disorientati.

Le uniche brecce le trovava, a sinistra, Emerson (6), il vice Spina. Un’ipotesi di occasione, complice Unai Simon, portiere da 4 che il meglio di sé, forse perché matto o scarso, lo dà sui penalty, quando o la va o la spacca. E una traversa scheggiata su blitz di Insigne (5), uno dei rari.

Mancini (6,5) non gradiva: troppi lanci dalle feritoie, brandelli di pressing (e non i soliti morsi da squalo). Immobile (5) «pirlava» fra Laporte (6) ed Eric Garçia (6), preferito a Pau Torres. Qua e là affiorava, dalle catene del torello iberico, l’idea del contropiede, arma che proprio un’onta non è, specialmente contro avversari così padroni. Alla ripresa, la Spagna continuava a occupare il centro del ring, senza affondare i colpi. E se non vai fino in fondo, rischi di andare a fondo. Alludo al gol di Chiesa (7), sintesi di un «fastbreak» purissimo e verticalissimo: Donnarumma-Verratti-Immobile-Chiesa, gran destro a giro. E’ il calcio, bellezze. A Fusignano non avranno gradito che in vantaggio fosse passata la squadra meno armonica e propositiva, pazienza. Luis Enrique (7) richiamava Ferran Torres (5) e si aggrappava a Morata (6,5). Era l’ora di una sana e robusta resistenza. E di colpi di cerbottana, come la freccia di Berardi (6), sguinzagliato al posto di un Immobile piccolo piccolo, smorzata dai piedi di Unai Simon.

La Spagna era sempre lì, a bivaccare, a passarsela, a «imbucare». Oyarzabal si mangiava il pari, di testa (7 per i movimenti, 3 sotto porta). Il gol di Morata non era improvviso, anche se siglato in un momento di mare piatto. Il triangolo sì, con tutto rispetto per Renato Zero: Morata-Olmo-Morata. Da leccarsi i baffi.

Erano stremati, gli eroi. Luis Enrique e Mancini procedevano a inserire forze fresche, uscivano, fra gli altri, Verratti e Insigne, testimoni più che protagonisti. Se n’era già andato Immobile. Da Locatelli (6), l’Italia ricavava più fisico; da Rodri (6) e Gerard Moreno (6), la Spagna le ultime bollicine. I supplementari, con i crampi di Chiesa e l’ingresso di Bernardeschi (6,5), si consegnavano a un armistizio ambiguo, solcato qua e là dai balzi di Donnarumma.

I rigori fissavano i confini della cronaca, in attesa che la finale, domenica, tracci quelli della storia. Resta l’impresa di un’Italia che, a giugno, mai avrei immaginato così in alto. Certo, non l’Italia di Roma o del Belgio, brillante e ficcante, ma una squadra che, in quanto tale, l’anima la rende solo al risultato. Ci lascia una Spagna dominante ma sterile, una Spagna che avrebbe meritato di più. Anche se, da un gioco del genere e da un Olmo di simili livelli, ricavare solo un gol da 120’ di quasi-dittatura ho paura che sia un’aggravante, non un’attenuante.

206 Commenti

Lascia un commento