Sotto zero. Anche in tv

Roberto Beccantini17 marzo 2024

Altro che mezzogiorno di fuoco. Un rancio orribile, con la Juventus in modalità Udinese, fiacca e sterile, e il Genoa lontano dal calcio espresso nel salotto della capolista. Un sacco di errori collettivi, nei tocchi e nelle idee, il Grifo di Gilardino (seguitelo) mai o quasi mai costretto ad allertare le unità di crisi; Madama a girargli attorno, Szczesny a salvarla da Bani, e solo nella ripresa, dopo i cambi (Cambiaso a parte), ad accerchiarne le trincee. Una sgrullata di Vlahovic, un palo di Iling-Junior e uno di Kean, a conferma che ormai anche il destino si è stufato. E che i ritiri non servono a un tubo. Anzi.

Una vittoria nelle ultime otto partite. Vaffa vaganti in famiglia, nervi a fior di pelle, Vlahovic espulso, agli sgoccioli, per proteste. Complimenti. Allegri ha «marcato» Chiesa con Kostic, nell’intento di liberarne la libido offensiva (sic). Fede adora la fascia, non vede l’ora che Spalletti gliela riconsegni ma intanto non è che molto si sforzi. E quando è uscito, perché è uscito, dentro Yildiz. «Il triangolo no», canta(va) Renato Zero. Il triangolo, cioè il tridente. Mai e poi mai. Ordini superiori? A naso non direi. Paura? Occhio: avanti di ‘sto passo, rischia di sfumare persino il quinto posto. E poi l’intervista del capo: squallida. Da esonerando.

Dal Grifo, sinceramente, mi aspettavo di più. Una Vecchia così, non so quando gli ricapiterà. Gudmundsson un fantasma, e Retegui, bé, gran duello con Bremer e stop. Certo, Badelj è un regista che in «questa» Juventus sarebbe titolare fisso. Non male i garretti di Spence. E, sul fronte opposto, i sentieri di Miretti: tolto, naturalmente.

Lasciatemi chiudere con il Trap. Oggi compie 85 anni. E’ stato grande nel suo genere, un genere che ai secchioni non piaceva. La Juventus tutta italiana. La Juventus di Platini. Stava per firmare con l’Atalanta. Lo chiamò Boniperti. Cin cin.

Inter, non così

Roberto Beccantini14 marzo 2024

Con il mio striminzito 55% a 45% ero stato fra i più moderati. Avevo letto e sentito di passeggiata, di Inter stra-favorita. Addirittura. Il verdetto del Wanda (nomen omen) riporta sulla terra i tiranni del campionato, i finalisti di Istanbul. I rigori, d’accordo: ma un tiebreak feroce, più che una lotteria. L’Atletico di Simeone ci ha messo un cuore grande, più grande di quello degli avversari. Mai dare per morti i guerrieri del Cholo. Mai.

Partita ambigua, come un aquilone appeso a un filo di episodi, di errori, di mosse e contro-mosse. L’1-0 di San Siro, condito da sprechi assortiti, avrebbe dovuto spingere verso un atteggiamento meno tirchio. E così è stato: solo all’inizio, però. Una parata per parte (Sommer su Lino, Oblak su Dumfries) e il gol di Dimarco, su azione Bastoni-Barella. Un classico della casa. Due minuti, e un flipper di Pavard liberava la giratina di Griezmann. Un incidente di percorso, d’accordo: ma sempre con la qualificazione in tasca.

Si consegnava, l’ordalia, al palleggio dei materassai e al mordi e fuggi di una squadra che, abituata a difendersi quando vuole, ha dovuto farlo perché costretta. Un po’ svampita, un po’ uggiosa. Alla ripresa, Thuram e Barella si sono mangiati il raddoppio, su inviti di Lau-Toro. Il tridente di centrocampo si è smarrito tra i vicoli di Koke e De Paul. Lo spirito cholista ha continuato ad avvicinare le differenze, a corteggiare – con castità – il destino. Decisivi, come a Barcellona, i cambi. Uno in particolare. Depay al posto di uno spento Morata. Palo, rete del 2-1, varie ed eventuali, più il primo dei penalty.
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Fino (quasi) alla fine

Roberto Beccantini12 marzo 2024

Dopo il Milan, uscito già nei gironi, la Lazio. Dopo la Lazio, il Napoli. Non ci resta che l’Inter, attesa dall’Atletico cholista. Era un Barcellona senza centrocampo e senza Camp Nou, con Cubarsì in difesa (classe 2007, voto 8) e Yamal (idem, voto 7) all’ala. Eppure: 3-1. La partita è stata divertente e il Napoli, per una settantina di minuti, all’altezza.

Come era nei voti, l’uno pari del Maradona ha liberato risorse e limiti. Pressing dolce, occasioni a ogni ribaltamento. Gli opliti di Xavi subito in cattedra, Raphinha scatenato, rete di Fermin Lopez e raddoppio di Joao Cançelo nel giro di 2’. Il secondo, fiuuu, in flagrante contropiede. A conferma di un tiki-taka non escluso dal menu, ma deposto dal rango di dogma.

Calzona è stato tradito da Osimhen (in offside, spesso), da Kvara e dai cambi. Era tornato in partita, il Napoli, lungo l’asse Politano-Rrahmani, e ci ha dato dentro, e ha avuto le sue occasioni. Una, soprattutto, sul 2-1: sciupata di testa, clamorosamente, da Lindstrom (tipo Immobile in Baviera). Il danese: uno dei subentrati. Come Sergi Roberto: lui sì decisivo. Nel disarmare Lobotka, nell’assist a Lewandowski. Con il senno di poi, non avrei tolto Politano («sottratto» persino a Sky da Adl). Nello stesso tempo, va detto che sino all’ipotesi del due pari il Barça aveva ripreso a soffiare come Eolo, a impegnare Meret.

Il Napoli, per la cronaca, aveva rischiato di prenderne cinque da Madama: il pericolo, dunque, era nell’aria. E così, al di là della riffa legata al pestoncino di Cubarsì al totem africano (Acerbi-Osimhen, nulla; Nonge-Osimhen, rigore), poco da aggiungere. In attacco, Calzona ha recuperato brani del Napoli spallettiano; in difesa, viceversa, siamo ancora lontano. La traversa di Olivera è stata l’ultima cartolina dal Montjuïc. Ciao quarti, ciao Champions, ciao Mondiale per club.

Dimenticavo: non è mai troppo Nardi. Complimentissimi.