Timbrare il tabellino

Roberto Beccantini22 gennaio 2025

Corti musi di Champions. Per l’Inter, l’1-0 di Praga è il quarto, dopo Young Boys, Arsenal e Lipsia. La svolta, subito: ping-pong da una fascia all’altra, traversone di Bastoni e «schiacciata» di destro di Lautaro, da posizione molto defilata, con il portiere sorpreso sul suo palo. Il capitano: cinque pere nelle ultime sette. Però. Rientrava dal letargo, lo Sparta: ha corso, limitato i danni, costretto Sommer a un paio di parate. Amen.

Gli ottavi diretti sono, così, a un passo. Inzaghino, il turnover lo ha effettuato durante, non all’inizio. Pilota automatico e turbolenze domate di puro mestiere. Se mai, il torto di non aver chiuso la partita quando avrebbe potuto e dovuto. Non palle-gol clamorose, ma l’idea che a ogni transizione potesse succedere qualcosa. Sette partite, una rete al passivo: quella di Leverkusen. «Honni soit qui mal y pense». E la giarrettiera non c’entra.

Uno a zero anche Milan-Girona. Da Fonseca a Conceiçao il trasloco (tattico) è in atto, e la mobilia (metaforica) non facile da imballare e trasportare. Traduzione: palla al piede, fior di occasioni (specialmente nel primo tempo: pugni di Gazzaniga, sgorbio di Theo, legno di Musah). Palla agli altri: i canonici triboli legati a equilibri precari e mascherati da tre paratone di Maignan, l’oratore dello Stadium.

E comunque, quinta vittoria di fila. Dalla stagione up and down di Leao è uscito l’up: gran filtrante di Bennacer, dribbling, ri-dribbling e sinistro tornito e tonante. Nella ripresa, spagnoli palleggianti e assedianti, ma Dovbyk è a Roma e Savinho al City. Avevo perso di vista van de Beek, scuola Ajax: rieccolo. Il Diavolo ha i playoff garantiti e la via maestra, chissà.

P.S. Un pensiero a Luca Beatrice, uomo di cultura che ebbi il piacere di conoscere e apprezzare. Da lassù dia una mano a chi sa.

Un pari indietro

Roberto Beccantini21 gennaio 2025

Noiosissima e timidissima, per insufficienza di «nove». Lo slogan va oltre il ruolo: ingloba il senso armistiziale che per un tempo aveva sequestrato e rallentato l’ordalia; censura l’insana ideologia di preferire il palleggio al tiro, ribadita dall’ennesima bocciatura di Vlahovic (eppure 4 gol in Champions e 7 in campionato). Il Bruges è un arco di frecce giovani, in casa aveva liquidato Aston Villa e Sporting. Lo allena un tipo, Hayen, che stravede per Del Piero. Il signore sì che se ne intende.

Le sfide con Atalanta e Milan avevano scoperchiato scenari di gloria. Invece: modico turnover e via con le cucchiaiate di brodo, un po’ a te un po’ a me. Douglas Luiz, «Flopmeiners» e Nico Gonzalez, falso nueve, sono stati sostituiti. Morale: 150 milioni di mercato non proprio in fumo, ma manco «in» arrosto. Per adesso. Al netto dei gracili progressi del brasiliano.

La panchina non è più corta: ha «liberato» Conceiçao (toh), Yildiz, Thuram, McKennie e il serbo. Lo 0-0 è lo specchio di un pari con vista playoff che, giusto nella ripresa, ha agitato e offerto brandelli emotivi: Jutglà fuori dal limite, dopo pasticcio di Di Gregorio; liscio di Nico da uno slalom di Mbangula, l’enfant du pays (tra i migliori, ancora); zuccata di Koop; acrobazia di Nilsson; parata di Mignolet su sventola di Locatelli; blitz di Talbi, murato dal portiere.

Il solito possesso, i soliti (rari) tiri. E quel dominio del ritmo che, senza strappi, porta a rischiare poco ma a produrre poco di più. Per carità, all’orizzonte incombe il Napoli, e dal momento che in certi casi «due feriti sono meglio di un morto», hanno festeggiato anche nelle Fiandre. Il Bruges si è difeso a blocco basso e contropiede, sistema che Locatelli e c. hanno sempre faticato a scardinare. Il confine della differenza resta la rifinitura, la fantasia: al diavolo le lavagne. Aspettando il presente di Kolo Muani e il futuro di Vlahovic.
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Una Signorina del diavolo

Roberto Beccantini18 gennaio 2025

Senza harakiri, senza rimonte. E allora: dal 2-1 di Riad pro Milan al 2-0 pro Juventus dello Stadium. Lo 0-0 dell’andata fu un inno alla noia, stavolta invece ci si è mossi, ci si è scossi. Potesse, Thiago giocherebbe sempre con Zirkzee e altri dieci (ma non Vlahovic). L’olandese è finito a Old Trafford e così non gli resta che Nico. Più altri dieci, naturalmente: quelli ci sono. Tutti all’altezza delle esigenze e delle emergenze: in particolare, Mbangula.

E il Diavolo? Le assenze, d’accordo (ma pure Madamin): c’è dell’altro, sopra («sotto», non m’interessa). La versione di Sergio contemplava primi tempi da suorine e secondi da vamp. L’esatto contrario. Metà match equilibrato, al netto del possesso, una paratona di Di Gregorio su Leao, una parata di Maignan su Yildiz. E l’altra metà da truppe accerchiate e soverchiate. Una Caporetto.

Alzi la mano chi, al cambio Yildiz-Weah, non ha sacramentato. Fitta a un adduttore. Il turco se n’era stato buono buono a destra, nel cortile di McKennie, rifornito dalle sventagliate di Locatelli, uno dei «best». Era a sinistra che Mbangula ubriacava Emerson Royal, là dove Cambiaso fungeva da lucchetto mobile.

Weah, dunque. E la ripresa. Venti-venticinque minuti da pugno sul tavolo, con una aggressività che avrebbe commosso le beghine di Fusignano. E una manovra verticale, non più (solo) orizzontale. Maignan si immolava su Weah e Koopmeiners (uffa), quindi – dal 19’ al 24’ – la rete di Mbangula, complice Emerson Royal, e il raddoppio del figlio di George, imbeccato da Thuram. Sì, gli dei hanno baciato il tiro della sterzata, ma risultato e scarti sono assolutamente meritati.

Theo? Leao? Scomparsi, letteralmente e brutalmente. Chissà Cassano. La Juventus mi era piaciuta già a Bergamo. La «novità» è che, dopo l’1-0, non ha mollato l’osso.
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