Dea, giù la maschera

Roberto Beccantini4 dicembre 2021Pubblicato in Per sport

Mi libero subito del risultato, 2-3, e del tabellino – Malinovskyi di violino, Zielinski di forza, Mertens di bisturi, Demiral di sasso, Freuler di biliardo – perché c’è un sacco da raccontare. Gran partita, al Maradona. Al Napoli ne mancavano cinque, tutti titolarissimi, più Spalletti. Ecco perché sconfitta e terzo posto non devono abbatterlo.

Per l’Atalanta era un esame. Si è fatta furba, senza rinunciare alla bellezza scultorea che l’aveva resa unica, ha allargato la gamma del repertorio persino al catenaccio: come allo Stadium, nella ripresa; come stavolta, nel finale. Attorno a un titanico Zapata, era tutto un ribollir di tini e di Toloi. Han menato, han pressato. Il Napoli ha dato il massimo, così conciato, ed era rientrato in partita con l’agilità dei suoi stukas: Mertens, Lozano, Malcuit (sì, Malcuit), Lobotka.

L’ordalia è stata battuta da ritmi fanatici, la metà campo sembrava un confine senza barriere, tale era il traffico che ne congestionava il passo: per tacere del gol di Mertens, scattato addirittura dalla sua, con Demiral sorpreso. Una topica tattica smorzata un po’ dai cambi e un po’ dal furore. Poteva uscire di tutto, da una simile roulette, il pareggio o la vittoria del Napoli. Ogni duellante ha avuto le sue occasioni, sporche e pulite, Zapata ha colto addirittura un palo. Sono stati i dettagli, al termine, a condurci dal vincitore.

Il Napoli non deve cedere alle sirene del fatalismo, l’Atalanta non può più nascondersi: Milan 38, Inter 37, Napoli 36, Atalanta 34. Penso che le staffette, complessivamente, abbiano dato una mano più alle esigenze del Gasp che non al palleggio degli avversari. Restano le tracce, calde, di una sfida rusticana, con la squadra in difficoltà, sempre o quasi, capace di ribellarsi al destino. La Dea, soprattutto.

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