La vecchia ditta…

Roberto Beccantini29 gennaio 2023Pubblicato in Per sport

Premesso che gestire «questa» Juventus, per tutto quello che sta crepitando fuori campo, sarebbe complicato persino per il Pep; premesso ciò, le bollicine esplose dai calici atalantini sono subito evaporate al cospetto di un signor Monza che Palladino ha guidato con piglio brillante e guanto sicuro. Difesa compatta, pressing calibrato, Pessina, Rovella e Machin ad addolcire la tonnara del centrocampo. Allegri, per un tempo, ci ha capito poco, e poco ha trasmesso ad alluci evidentemente distratti più dai titoli dei giornali che dalle esigenze di giornata.

A scrivere di disastro, lo è stato, spero che non significhi sminuire i meriti dei brianzoli, in gol già al 10’, con Caprari: la supercazzola del fuorigioco semi-automatico ha colto una mezza spalla oltre e così, nada. Bello, in compenso, l’1-0 effettivo (di Ciurria, su imbucata di Machin). Bellissimo il raddoppio, con Dany Mota che scarta addirittura il portiere, su slalom rugbistico di Carlos Augusto. Tutti alla grande: tutti, tranne quell’emerito provocatore di Izzo.

E Madama? Piatta come la terra secondo qualche matto. Sterile in Di Maria, per il quale Palladino aveva preparato una gabbia ambulante, vaga in Kostic, con De Sciglio improvvisamente titolare e Paredes ombra dell’ombra del nazionale argentino che fu. Dal 3-5-2 si è passati al 4-3-3, Kean abbandonato al suo destino. Qua e là si accendevano mischie rusticane, la cuffia di Galliani soffriva in tribuna e la squadra governava di tocco. A naso, non escludo che dal Berlusca arrivi un altro pullman di.

Anche Danilo dava segni di sofferenza tattica e insofferenza pratica. Il riscaldamento di Pogba sembrava un miraggio. Max avrebbe dovuto cambiarli tutti, a cominciare da sé stesso. Ne toglieva un mazzolino, inseriva Locatelli, i bebé Iling e Soulé, Milik. Nasceva, faticosamente, un’altra Juventus: quella che, come con la Dea, sono le emergenze a nutrire e mai, o quasi mai, la personalità, la voglia di non aspettare di aspettare, spesso letale. Giungevano, di conseguenze, le paratone di Di Gregorio su Locatelli, Milik, Di Maria. Bremer segnava in offside; tornava Vlahovic, 100 giorni dopo; Milik si stirava, una non notizia; l’ex tiranna finiva in dieci. Un disastro, l’ennesimo. Complimenti al Monza, naturalmente: 1-0 all’andata, 2-0 allo Stadium. Sei punti su sei. Stiamo parlando di una neo-promossa, mica del Real di Di Stefano.

Il caso ha voluto che, a mezzogiorno, fosse caduto anche il Diavolo, travolto a San Siro dal Sassuolo (2-5!). Proprio il «Sassuolino» che, il 25 maggio scorso, nel giro di una mezz’oretta gli aveva vidimato lo scudetto (0-3). Milan, Juventus: la «vecchia ditta» che Calciopoli spaccò e affondò. Berardi lo ha toreato sin dall’inizio. Non vinceva, la ciurma di Dionisi, dal 24 ottobre. Eppure c’è sempre Pioli, il mago del sorpasso. Eppure la rosa è sempre quella, con Leao frazionista e non titolare. Sono crollate le dighe, Madama 10 gol in tre gare; Milan 12 tra Inter di Supercoppa, Lazio e, appunto, Sassuolo. D’accordo, Tatarusanu non è Maignan, ma non penso che sia un dettaglio sufficiente a giustificare lo sfascio. Non c’è più Ibra, che troppi hanno nascosto sotto l’età (42 a ottobre), le cicatrici e le rughe. E neppure Kessié, spazzato dalla memoria con una scopa forse eccessiva. Il mercato non ha offerto provviste, De Ketelaere barcolla, mesto, tra le urla di Adani. E, di sfuggita, possibile che Stefano abbia così imbrocchito Theo e Leao? Suvvia.

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