Finalmente, «la» finale

Roberto Beccantini9 giugno 2023Pubblicato in Per sport

Fu proprio a Istanbul che vidi la finale più folle. Era il 25 maggio 2005: Milan-Liverpool. Forse perché eravamo sospesi tra due continenti, e dunque in posizione ambigua, forse perché il calcio è «loco» non meno del pazzo Bielsa, o forse perché qualcuno (non solo il destino, però) si distrasse: fatto sta che dal 3-0 del primo tempo si passò – in una manciata di minuti – al 3-3 della ripresa. E poi ai rigori, sui quali si arrampicò l’improvvisa aureola di Jerzy Dudek, «santo durante»: la più influente delle categorie di beati. Polacco come papa Karol Wojtyla: pure lui, in gioventù, portiere.

Morale: il Milan di Carlo Ancelotti controllò la sfida per 120 minuti meno sei. Il Liverpool di Rafa Benitez fu più umile ad accettarne il magistero e più freddo al tie-break dei penalty. Ero seduto vicino a Carlo Pellegatti: lui inviato di «Milan channel», io de «La Stampa». Naturalmente avevo scritto tutto, o quasi, fin dall’intervallo. E, ricordo, Carletto temeva che l’andazzo del match, fin troppo totalitario, avrebbe scoraggiato e allontanato fior di devoti dalla santa messa della sua radiocronaca.

Lo sapete. Successe l’inverosimile. Eupalla diede un calcio nel sedere ai fissati della logica e puntò dritto alla Bastiglia delle lotterie. E così il mar Rosso invase il mar di Marmara. Un vento forte, rissoso, accompagnò la premiazione e scortò il vuoto del dopo. Ero rimasto lassù, solo, a sfumazzare un mezzo toscano. Volavano cartacce, bicchieri di carta, cuscini con i colori dei vinti e dei vincitori. Sentii una voce. Era Antonella, la moglie del Carletto: «Ha mica visto gli occhiali di mio marito?». Ecco, in quella solitudine così lontana e così fosca, ci mettemmo a cercarli. Li trovammo.

Cosa troveranno Manchester City e Inter? Sabato 10 giugno, stadio Ataturk, ore 21: Champions o mai più. E’ una finale strana, inattesa e oggettivamente orientata. Il City è il mio favorito cronico, storico. L’Inter no, non immaginavo che sarebbe arrivata sin lì. Mettiamoci pure i sorteggi benigni, diretti e indiretti, ma da primavera ha cambiato passo. E qui si entra nei dettagli. E’ da una stagione che i Blue moon tirano la carretta, e a Istanbul si presentano dopo aver accerchiato, braccato e scavalcato l’Arsenal. Hanno vinto la Premier e, il 3 giugno, nel derby con i cugini dello United, ex «padroni» di casa, la Coppa d’Inghilterra. Altro percorso, l’Inter: una marcia piena di buche e forature, dodici sconfitte in campionato – ripeto: dodici – ma da primavera, un rullo. La Supercoppa di Riad, la Coppa Italia all’Olimpico: caccia via.

Pep Guardiola, Simone Inzaghi. Il Migliore, per dirla con il lessico della vecchia sinistra, contro mister Spiaze, per raccontarlo con il gergo del web. Sulla bilancia, un peso massimo e un peso piuma. Colui che con Leo Messi e Andrés Iniesta ha cambiato il calcio, estraendo il tiki-taka dai pozzi del «gioco corto» che negli anni Settanta predicava e applicava Corrado Viciani a Terni; e colui che, da quando il calendario si è impennato, ha recuperato la rosa intera, da Romelu Lukaku a Robin Gosens. Fuor di paradosso: per giocare meglio, a volte è meglio giocare di più e allenarsi di meno.

Il City è difficilmente battibile ma non imbattibile. Nell’arco di 38 partite, ha inflitto 30 punti di distacco al Brentford. Ma nelle due a referto ci ha sempre perso. E il Brentford, ammiccano golosi gli esperti, applica la difesa a tre, cara a Inzaghino. Sul fatto che Pep abbia allestito un’orchestra di prim’ordine, non ci piove. Il 4-0 al Real del 17 maggio scorso costituisce il concerto che più e meglio ne riassume la bellezza del repertorio. Indovinare da dove attaccherà è molto complicato, perché attacca con tutti (Bernardo Silva, doppietta al Real, Jack Grealish, Kevin De Bruyne, Ilkay Gundogan, doppietta ai Red Devils, Rodri, persino John Stones, sentinella sottratta alla garitta). Ci aveva abituato, in passato, al centravanti spazio. Oggi, in compenso, domina con il centravanti ciccia: Erling Haaland. Il ciber-ciclope. Norvegese come Casper Ruud, finalista al Roland Garros, Jakobs Ingebrigtsen, fenomeno del mezzofondo, Karsten Warholm, cannibale dei 400 ostacoli.

I tre «stopperoni» dell’Inter – Matteo Darmian, il più duttile; Francesco Acerbi, il più tosto; Alessandro Bastoni, il più mancino dei lanci – dovranno tenerlo d’occhio, Haaland, senza però esagerare nell’intasarne i bivacchi: in questo caso, rischierebbero di lasciare pericolosi sentieri agli incursori di turno. A meno che un episodio non trasformi l’ordine tattico della partita nelle montagne russe di un Luna park, il City occuperà il cuore del ring, e da lì mulinerà i suoi ganci. All’Inter il diritto di replica. Ecco allora che Marcelo Brozovic, Nicolò Barella e Hakan Calhanoglu dovranno mordere chiunque capiti a tiro, e non semplicemente disturbarlo. Le corsie saranno bolge dantesche, con Denzel Dumfries e Federico Dimarco a presidiarne i valichi. Per la cronaca, pure il Pep difende a tre (con Kyle Walker, Ruben Dias e Manuel Akanji), ma sono disegni e segni che l’eclettismo degli studi sradica spesso dalla fissità dello schema.

Lau-Toro Martinez non si discute, l’unico dubbio coinvolge Edin Dzeko, ex di turno, e Lukaku. Non sarà semplice argomentarne la scelta ignorando l’esito, anche se penso che Inzaghino concederà la prima frazione della staffetta, come sempre, al bosniaco.

Nella formazione base dell’Inter troverete cinque italiani: Darmian, Acerbi, Bastoni, Dimarco, Barella. E’ una traccia. La Roma ha perso ai rigori, con il Siviglia, l’Europa League. La Fiorentina ha ceduto, al 90’, la Conference al West Ham. Sarà ancora Inghilterra-Italia, dunque. Il calcio del nostro campionato ha dimostrato di essere più vivo che morto: anche se, naturalmente, il risultato è lo stivale che, salvo rare eccezioni, schiaccia tutti noi, cicche buttate da cowboy isterici.

Ogni tanto Pep tende a fare il fenomeno. Lo fece contro il Chelsea nella finale del 2021. Escluse Gabriel Jesus, s’inventò De Bruyne «nove» e ci lasciò le penne. Forse è per questo che, tra i pissi pissi della lunga vigilia, mi è parso un po’ meno unto del Signore.

Arrigo Sacchi suggerisce dosi massicce di pressing alto, l’abracadabra dei fusignanisti. Importante, nei periodi di assedio, sarà non buttare via le chiavi. La zavorra del pronostico grava sul City: per il sottoscritto, 55% a 45%. L’Inter parte sfavorita e leggera. «Si gioca fino al proprio limite, poi si passa quel limite e ci si volta a salutare il limite che si aveva prima, gli si sventola il fazzoletto come quando ci s’imbarca»: tratto da «Infinite jest» di David Foster Wallace.

Fuoco alle vostre emozioni.

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