Je suis Carpì

Roberto Beccantini13 febbraio 2015Pubblicato in Per sport

Al di là del metodo non proprio elegante impiegato per «spogliare» Lotita (la registrazione privata di una telefonata privata), gli scandali sono due.

Il primo riguarda Claudio Lotito che – da membro del comitato di presidenza federale – dovrebbe pensare quello che dice e, a volte, non dire quello che pensa. In un Paese normale, Carlo Tavecchio non sarebbe presidente della Figc e Lotita avrebbe finito da un pezzo di sedurre Humbert Humbert/Stefano Palazzi, così lesto in alcuni deferimenti, così lento in altri (questo, scommettiamo?). Con Franco Carraro e Adriano Galliani, Lotita è il badante di Tavecchio e dei suoi libri. Un giustificazionista. «Con l’esempio che ci viene dall’alto, perché stupirsi del marcio che c’è in basso», scrisse Wole Soyinka, scrittore nigeriano, premio Nobel per la letteratura nel 1986.

Il secondo (scandalo) riguarda invece il non «appeal» dei Carpi e dei Frosinone e qui, ahimé, Lotita non aggiunge nulla di nuovo, di inedito. Era l’estate del 2003, l’estate del Tar West di Luciano Gaucci e del suo Catania riammesso in serie B a furor di udienze. Sotto la regia di Carraro (toh), la cadetteria fu portata a 24 squadre e per fare numero, al posto di Pisa o Martina, le società aventi diritto, venne ammessa, per meriti «commerciali», la Fiorentina, fresca di promozione nell’allora C-1. Un caso Carpi a rovescio.

Sono passati dodici anni e siamo sempre al solito panorama, alla solita guerra per bande. Abbiamo una classe di dirigenti senza classe. E la poesia del calcio? E il romanticismo della Coppa d’Inghilterra, così cara al gentile Alex Drastico? Le vie della nostalgia sono sfinite, non infinite come quelle che portano a Optì Poba.

Invece di tagliare un sogno, si tagli l’incubo: la serie A a venti squadre. Coraggio, Lotita: cominci lei. E già che c’è, scelga: Lazio o Salernitana.

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