Quando la storia…

Roberto Beccantini8 marzo 2017Pubblicato in Per sport

Quando la storia si abbatte su di noi, testimoni minuscoli, con la forza iconoclasta di una rimonta che mai si era vista, almeno su questo pianeta, non resta che prenderne atto e alzarsi in piedi. Barcellona sei, Paris Saint-Germain uno. Rovesciato e polverizzato lo zero a quattro dell’andata, sul quale era stata posta la lapide della fine di un ciclo o, più semplicemente, di una fine.

Che poi il destino si sia servito, non già di omeriche giocate, ma di un autogollonzo e di un paio di tiepidi rigorini, è un discorso che non intacca la mostruosità dell’impresa. Piano piano, i principi del Parco sono diventati le maschere del Camp Nou, comiche in difesa, pallide in mezzo (Verratti, Rabiot) e con un Cavani troppo solo e comunque – lui, sì – autore in cerca di qualcosa, di qualcuno, non come gli altri, tutti a caccia di un segno, prigionieri di un sogno che li aveva ingessati.

Non ho visto il miglior Messi. Ho visto il miglior Neymar. Ho visto il collo livido del Paris, rovesciato su se stesso, e il cappio che Iniesta, Busquets e Rakitic gli avevano teso, senza soffocarlo. Poi, dall’88’ al 95’, l’inizio della fine del mondo: punizione di Neymar, penalty di Neymar, rasoiata di Sergi Roberto, all’ultimo giro dell’ultima roulette.

Unai Emery dovrà spiegarci l’esclusione di Di Maria. E Di Maria, lo sgorbio balistico sul 3-1. Di Luis Enrique, in compenso, ricordo il suo outing: a fine stagione lascio. In Italia ci saremmo masturbati mentalmente (non poteva aspettare, e adesso come reagirà la squadra?). Ma va a ciapà i ratt, dicono a Milano.

«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», scrisse Pier Paolo Pasolini detto «Stukas» per come «bombardava» di finte i terzini. «Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». E non era a Barcellona.

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