La panchina d’oro

Roberto Beccantini10 novembre 2019Pubblicato in Per sport

Scendo trafelato dalla giostra forsennata di Liverpool-Manchester City e cosa trovo? Cristiano sostituito e smoccolante (ahi ahi); la Juventus che, come a Mosca, vince con il colpo del singolo e non con il «giuoco»; un Milan che non avrebbe meritato di perdere ma perde, allo Stadium sono già nove su nove, non prima di aver issato Szczesny sul podio più alto.

Quante cose, mamma mia. Anche se, permettetemi, le solite cose (al netto della propaganda). Pioli insista: in rapporto alla rosa (da sesto posto) e all’avversario è stato in partita fino alla fine, dopo aver provato a farla e, in alcuni frangenti, esserci riuscito. Mi è piaciuto molto Conti, un terzino al quale il destino aveva teso un vile agguato.

Cristiano non avrebbe dovuto giocare. Ci sono gerarchie quasi liturgiche, Sarri l’aveva richiamato già con la Lokomotiv, gli ha concesso un’oretta, togliendola alla squadra, ma poi non ha potuto esimersi. Bravo. Dentro Dybala. Un gioiello, il suo gol di destro, come il lampo di Douglas Costa in Champions. Immagino il furore di Conte, collezionista emerito di menu.

Brutta Juventus, a prescindere. Lenta, piatta, imprecisa. Ad Allegri occupare la metà campo altrui non importava un fico; per Sarri, viceversa, è questione di vita o di morte. Schiacciata tra filosofie così dispari, la squadra ha ruminato calcio, alla caccia di un Marziano che, da soluzione, sta diventando un problema. L’insubordinazione non sarà facile da governare: e questo è il lato negativo. Il lato positivo è che – in campionato, almeno, e sul piano dei risultati – la Cristiano-dipendenza sembra meno assillante.

Continua a non perdere, la Juventus tornata in testa, continua a non entusiasmare. Certo, aveva giocato mercoledì. Su una panchina nacque, nel novembre del 1897, da una panchina rinasce ogni volta.

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