CrSarri: lo scudetto del compromesso

Roberto Beccantini26 luglio 2020Pubblicato in Per sport

L’hanno firmato Cristiano Ronaldo e Federico Bernardeschi (questa, poi). Come definirlo, il nono? Un paziente, il gentile Giovanni, ha scelto «scudettino» dopo «fuochino» e «disastrino». Carino. Scherzi a parte. Se privilegiamo il fatto che, appunto, è il nono consecutivo, straordinario mi sembra il minimo. Se pensiamo, viceversa, alla sofferenza netta, profonda, dovuta alla pandemia che l’ha aggredito e disossato, allora direi simbolico. Lo ricorderemo, sempre, per le bare e il dolore che lo spezzarono.

E a livello tecnico-sportivo? Frugale, con il fiatone: da Parma alla Sampdoria. Credo che il peso stia soprattutto nei numeri: il primo di Maurizio Sarri, il secondo di Cristiano Ronaldo, il trentaseiesimo della Juventus, una contabilità mostruosa che pareggia il bottino di tutta Milano.

Tre Antonio Conte, cinque Massimiliano Allegri, uno Sarri: la continuità al potere. Nel passaggio da Allegri a Sarri si cercava il trasloco dal calcio per gestione al calcio di visione. Non più il vincere tirchio, ma anche con un po’ di circo. Gli impresari hanno pensato, esclusivamente o quasi, ai domatori: non alle belve. Grave errore: di molti di noi, non solo di Andrea Agnelli. Non rammento un mercato così confuso, dal pensiero così debole. E’ andata bene, a Fabio Paratici «vedovo» Marotta, ma occhio a non esagerare. Uno dei migliori è stato il giocatore più offerto: Paulo Dybala.

«C’era Guevara» non ha ereditato, da Allegri, il ben di Dio che Allegri ereditò da Antonio Conte. Questo va detto. E proprio a inizio stagione la polmonite gli aveva impedito di curare i dettagli della svolta, tanto più radicale quanto tatticamente delicata. A sfogliare le formazioni di questi nove anni, l’attacco è l’unico reparto migliorato nel tempo. Ripeto: l’unico. Detto che per il sottoscritto la Juventus più forte rimane la Juventus di Berlino 2015, il centrocampo si è ridotto a un condominio di gregari e la difesa ai resti dei resti della Bbc.

Eppure si pensava che sarebbero bastati i taccuini del tecnico bukowskiano per sedurre il tifoso di Pechino, con il «giuoco», dopo una vita a ingozzare di risultati il tifoso di Nichelino. Invece no. Ci sono stati infortuni seri (Giorgio Chiellini, Merih Demiral, Sami Khedira, Douglas Costa) che, con la pancia piena della vecchia guardia, hanno contribuito a zavorrare il progetto. La Lazio, brillante fino a marzo e poi più, si è presa la Supercoppa; il Napoli, ai rigori, la Coppa Italia post lockdown: ma prima, con Carlo Ancelotti, un disastro. Piccole ferite, fastidiose cicatrici. Con il ronzio dell’Inter e il trapano dell’Atalanta ad agitare le edicole.

Per fortuna, Sarri non è un maniaco degli schemi. A Napoli incantò con il 4-3-3 ad assetto invariabile. Al Chelsea vinse l’Europa League regolando le lancette sui dribbling di Eden Hazard. Alla Juventus ha recuperato Dybala, che Allegri aveva trascinato ai 22 gol del 2018 e poi smarrito in funzione Isco (per Cristiano, questo e altro); ha lasciato carta bianca ai solisti – che, maledetti o benedetti, continuano a coltivare il vezzo di «aspettare la palla sui piedi» – ricavando due-tre partite dentro la stessa, rimonte di qua, rimonte di là, tesori e sprechi, molti tesori e molti sprechi. Non la via maestra: se mai, una via di mezzo tra Sarrismo e Allegrismo. Un compromesso storico.

E questo, sia chiaro, non si chiama incoerenza. Tutt’altro: si chiama intelligenza. Scritto che il mio podio comprende 1°) Cristiano, 2°) Dybala e 3°) Matthijs De Ligt, chiudo con la frase che lo stesso Maurizio ha srotolato, tappeto prezioso, alla vigilia di Juventus-Sampdoria: «Devo essere io ad adattarmi alle caratteristiche dei giocatori, perché non si possono ogni anno comprarne 25. Altrimenti vado alla ricerca di allenare me stesso».

Ecco. In attesa della Champions, il cannocchiale da «bar sport» che ci aiuterà a scrutare la distanza dalla luna, non è una confessione, e nemmeno una marcia-indietro. E’ il calcio.

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