Il Cristianesimo

Roberto Beccantini15 giugno 2018

Sa essere feroce, il Cristianesimo. Soprattutto se trova fedeli distratti come Nacho (sul rigorino) o sdraiati cone De Gea (su quel tiro lì, banalotto). Poi, è chiaro, il suggello della punizione non riguarda i devoti: è un puro atto di fede. E così Cristiano Ronaldo tre Spagna tre.

Era la prima partitissima del Mondiale, l’hanno controllata e/o dominata per lunghi tratti le sartine di Hierro e non più di Lopetegui. Le sartine avevano un orco, Diego Costa, capace d’inventarsi l’uno pari, non prima di aver sbracciato Pepe con il silenzio-assenso di Rocchi e della Var (uhm), e di siglare il due a due, da centravanti rapace, su sponda di Busquets.

La saetta di Nacho, splendida per traiettoria e coraggio balistico, aveva consegnato il risultato ai parrocchiani più meritevoli: Isco (che traversa, che dribbling, che movimenti), David Silva, Iniesta (fino a quando il fiato ha retto). Il Portogallo giocava all’italiana, raccolto quando doveva (quasi sempre) e aperto al contropiede quando poteva. Cristiano Ronaldo, lui, viveva di momenti, di pulsioni e dello spazio che le furie, costrette alla rimonta, concedevano. Se avesse avuto chierichetti più in gamba di Guedes, si sarebbe limitato a cantare: così, invece, ha dovuto portare anche la croce. Fermo restando il contenzioso con il fisco, che fa rima con Isco (e non solo, alla luce dei dispacci).

Non escludo che tra i bigotti vada inserito lo stesso Hierro: perché togliere proprio Diego Costa? Le sartine senza orco sono sembrate sempre tiranne, sì, ma un po’ più democratiche. La punizione massima di Cristiano Ronaldo, di anni 33, di palloni d’oro cinque e di Coppe dei Campioni idem, è piombata sull’ordalia come un segno, esagerato, dall’alto. Non chiedetegli di stare sempre in piedi. Accontentatevi di come li usa.

I «miei» Mondiali

Roberto Beccantini13 giugno 2018

Comincia domani, in Russia, il primo Mondiale con la Var e l’Italia a casa (dopo 60 anni tondi). In Europa ha vinto sempre un’europea. Tranne una volta: nel 1958 in Svezia, quando s’impose il Brasile di Pelé. E l’Italia non c’era. Il caso Lopetegui ha sconvolto il protocollo della vigilia. Se le cose sono andate come ha dichiarato il presidente della Federazione spagnola, Luis Rubiales, l’esonero improvviso del ct non è scandaloso. Il carro attrezzi sarà Fernando Hierro, realista fino al midollo. Detto questo, il taglio offre un alibi congruo ai giocatori: che sono grandi, ma sempre uomini.

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Ecco qua i miei pronostici, on line da lunedì su «Eurosport».

FASE A GRUPPI

Gruppo A: Uruguay e Russia, nell’ordine. Con l’Egitto di Salah, sempre che recuperi, variabile impazzita. E l’Arabia materasso.

Gruppo B. Spagna e Portogallo. Cristiano ha 33 anni: se non ora quando? Mina vagante, più il Marocco che l’Iran.

Gruppo C: Francia e Danimarca. Occhio al Perù. Australia sfinge.

Gruppo D: Argentina e Croazia. A ruota, più Islanda che Nigeria. Messi va per i 31, in Qatar ne avrà 35. Ultima chiamata.

Gruppo E: Brasile e Svizzera. Non credo più a un miracolo-bis di Costarica, se mai in qualcosa di serbo.

Gruppo F: Germania e Messico. La doppietta è riuscita solo a Italia (1934 e 1938) e Brasile (1958, 1962). Ciò premesso, vedo i coreani lontani. E alla Svezia non basterà il catenaccio di San Siro.

Gruppo G: Inghilterra e Belgio allo sprint. Per Tunisia e Panama, sulla carta, pochi spiccioli.

Gruppo H: Polonia e Senegal, ma sarà una volata a quattro. Colombia (soprattutto) e Giappone sono lì.
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Only you, Zizou

Roberto Beccantini1 giugno 2018

Ignoro se e cosa ci sia sotto. Mi basta, per ora, quello che c’è sopra. Nello stesso giorno in cui, ora sono vent’anni (31 maggio 1998-31 maggio 2018), Sasha Danilovic rovesciava la Fortitudo con un canestro da quattro punti e spalancava i supplementari allo scudetto della Virtus, Zinedine Zidane ha lasciato il Real Madrid. Era subentrato a Rafa Benitez il 4 gennaio 2016, lo abbandona dopo aver raccolto la bellezza di nove titoli, fra i quali tre Champions consecutive.

Zizou ha 45 anni. Vice di Carletto Ancelotti, era stato, in campo, il totem della Juventus, della Francia e dello stesso Real. Non esce dal calcio, esce dalla Casa Blanca, e lo fa con la fierezza umile di colui che non intende più sfidare il destino. Sa troppo di sport e di vita, Zidane, per fingere che sia stata la sua scienza – o meglio: «solo» la sua scienza – a riportare il Real ai fasti degli anni Cinquanta. Certo, ci ha messo del suo: bene o male, Cristiano Ronaldo veniva sostituito, e Gareth Bale escluso, da un fuoriclasse che, con una straordinaria acrobazia, aveva deciso la finale di Glasgow e con tre colpi di testa addirittura due Mondiali (la doppietta al Brasile nel 1998, la zuccata a Marco Materazzi nel 2006).

Il taglio di Zizou è stato così netto e improvviso da emozionarmi. Non è facile convivere con Florentino Perez, anche se era stato il presidente in persona a sceglierlo. Proprio questo, però, gli conferiva una sorta di «ius primae noctis» su tutte le vittorie. Se Zidane da allenatore è stato fortunato – per episodi, aiutini, eccetera – Perez lo è storicamente ancora di più. Fin dalla mano di poker vinta al tavolo di Benitez.

E allora, meglio il brivido di un atterraggio d’emergenza che le turbolenze di un altro volo. Only you, Zizou.

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