La parata di Buffon

Roberto Beccantini1 giugno 2012

Dalla parata di Roma, che in segno di rispetto per le popolazioni martoriate dell’Emilia avrei sospeso, all’ultima parata di Gigi Buffon il passo è greve. Da una vecchia informativa, ia ia o, salta fuori ‘sto giro milionario di euro che porta a una tabaccheria che porta a una banca che porterebbe a delle scommesse. Il tutto, a ventiquattr’ore di distanza dall’«alzamiento» di Coverciano: vergogna, vergogna, vergogna. La consecutio ha sorpreso anche il sottoscritto, garantista per tutto e con tutti: persino con Auricchio, fino a quando ho potuto.

Gli assegni risalgono al periodo gennaio-settembre 2010: il capitano della Nazionale e della Juventus non è indagato, a differenza di Domenico Criscito, escluso, e Leonardo Bonucci, incluso. Buffon è un incallito scommettitore: non è reato. Buffon, calciatore di mestiere, sa che può scommettere su tutti gli sport tranne che sul calcio: questo sì, reato sportivo. Il suo avvocato ha parlato di «imboscata». I giornali ci hanno inzuppato il biscotto, come avrebbero fatto i miei Pazienti se fossero stati giornalisti o direttori. Ciascuno, naturalmente, seguendo la linea editoriale del proprio tifo, del proprio livore.

In un Paese normale, visti i tempi e la rilevanza del personaggio, gli organi inquirenti avrebbero già fatto luce. Da noi, si procede per corvi, per veline, per soffiate: piaccia o non piaccia. Siamo diventati un impero sul quale non tramonterà mai l’ombra: colpa nostra, non solo «merito» delle procure. Al posto di Buffon, convocherei una conferenza per spiegare il giallo tabaccheria. Nello stesso tempo, sono curioso di vedere come finirà questa storia: sempre che continui.

Per concludere, prime sentenze di Scommessopoli. Pene scandalosamente miti, in linea con i «quaranta sfigatelli» evocati da Cesare Prandelli. Chi lo spiega, adesso, a Michel Platini?

Il codice (pat)etico

Roberto Beccantini29 maggio 2012

Domenico Criscito no e Leonardo Bonucci sì ribadiscono quanto il confine tra etica ed etichetta sia labile e subdulo. Un avviso di garanzia con perquisizione in camera (a Coverciano) batte, dunque, un avviso di garanzia (spiccato e non arrivato): l’importante è saperlo. Avrei portato Criscito, scritto ieri; e per la proprietà transitiva della logica, anche Bonucci. Nel rispetto totale di coloro che non la pensano come me – e, quindi, avrebbero bloccato entrambi per questioni di opportunità, di morale o quant’altro – credo che Cesare Prandelli abbia adottato la decisione sbagliata.

La voce del popolo non sempre è la voce di Dio, ma è chiaro che la cesura del ct fomenterà pissi pissi da bar sport, Bonucci è della Juventus e Criscito lo era, Bonucci è un pesce e Criscito un pesciolino. Non toccare il tasto della presunzione di innocenza – che, viceversa, andrebbe pigiato, sempre – significa mettersi dalla parte del torto, a maggior ragione di fronte a una decisione così politica e così ipocrita. La «pressione disumana» con la quale Cesare aveva addobbato l’Europeo di Criscito, per giustificarne l’esclusione, ha tutta l’aria di un alibi cucinato al volo e al dente, su ricetta di Giancarlo Abete.

Cesare resta un allenatore che studia il calciatore attraverso l’uomo. Lo avrei gradito più coraggioso: o tutti dentro o tutti fuori; sia che l’uno, Criscito, abbia ricevuto l’avviso di garanzia, e l’altro, Bonucci, non ancora; sia che il reato contestato al secondo risulti meno grave di quello notificato al primo.

Siamo alle solite: gli esempi che vengono dall’alto – e in questo caso, l’alto è Prandelli – lasciano spazio alle capriole dell’incoerenza e alle acrobazie del codice (pat)etico. Tutto il mondo ride di noi. Come alla vigilia dei Mondiali 2006, ultima stampella alla quale aggrapparci.

La banalità del male

Roberto Beccantini28 maggio 2012

La banalità del male. Dal 1980 a oggi, in ordine sparso: toto nero uno e due, passaportopoli, doping amministrativo, doping farmaceutico, calciopoli una e due, premiopoli, scommessopoli. Il tutto, nonostante lo scudo della responsabilità oggettiva: che, non a caso, i dirigenti più illuminati vorrebbero disarmare. Chi scrive, avrebbe portato Criscito agli Europei: scelta non facile, capisco, ma il pesce mi sembra troppo piccolo per poterlo trasformare in un simbolo, soprattutto se lo si definisce «un ragazzo straordinario» (Demetrio Albertini). E poi il pesce puzza sempre dalla testa, come ben sanno Abete, Carraro e Petrucci.

Alla vigilia dei Mondiali 2006, senza arrivare all’avviso di garanzia per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, Buffon lasciò Coverciano per andare a deporre, a Parma, su un argomento scottante (scommesse, ça va sans dire), con corredo di ombre che coinvolgevano Cannavaro e Lippi (figlio, processo Gea). Sordo all’indignazione popolare, Guido Rossi li imbarcò tutti per la Germania. Prandelli si è incartato con il codice etico: troppi distinguo e poco coraggio.

Capitolo Conte. E’ indagato di associazione, e gli hanno perquisito la casa. Sono con Andrea Agnelli: massima fiducia negli organi inquirenti. Le partite del Siena sotto inchiesta sarebbero «circa otto». Non una. E, di quel Siena, Conte era l’allenatore. Complice, testimone distratto o vittima? Ce lo diranno Di Martino, senza «enfatizzare», e Palazzi, entro fine luglio.

Non siamo più ai tempi pittoreschi di Trinca & Cruciani, siamo in sella a un’organizzazione transnazionale di stampo malavitoso. Il problema non è quello posto da Buffon: a fine stagione «meglio due feriti che un morto». Il problema è quello posto dagli zingari: «meglio due feriti ricchi (per averci scommesso su) che un morto». Ci siam sempre fatti delle gran risate. Ecco i risultati.

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