Il Giaccherinismo

Roberto Beccantini27 marzo 2013Pubblicato in Per sport

Troppo facile parlare di Mario Balotelli, due gol a Malta dopo il gran gol al Brasile. E’ il confine della Nazionale, è il simbolo di una Nazione che fatica a integrarsi, nelle periferie prima che in area. Ha un fisico che gli permette di giocare anche di quantità, cosa negata al talento fragile di Antonio Cassano.

Preferisco un altro argomento. Emanuele Giaccherini. Classe 1985, un «trans» del ruolo: ala, poi punta esterna, quindi esterno di centrocampo – e alla Juventus di Antonio Conte, pure interno – fino al «credo quia absurdum» di trequartista con Cesare Prandelli. D’accordo, la partita col Brasile era un’amichevole e Malta è Malta, con tutto il rispetto. Ma che Italia rappresenta Giaccherini? Incarna il Paese mediano, e non ruffiano, degli artigiani che il calcio custodisce in attesa di tempi (e dribbling) migliori, un po’ per la caduta dell’offerta, un po’ per la tenacia della domanda. In fin dei conti, era un «mediano» anche il ct. «Giaccherini chi?» appartiene alla tribù di quei soldati Ryan che, nei governi tecnici e no, sarebbero sottosegretari scrupolosi, più servizievoli che servili. Penso alla cotta di Arrigo Sacchi per Roberto Mussi, alle coccole di Giovanni Trapattoni per Alessandro Bianchi, al rapporto che legava Angelo Di Livio e Marcello Lippi.

Voce dal fondo: ma come trequartista non ci sarebbe Alessandro Diamanti? Certo che sì. Non c’è nulla di folle, nel mondo di Giaccherini, e nelle vie di accesso al suo impiego, se non quella scelta lì, da affetti ed effetti speciali: il comandato che comanda, l’ultimo di passaggio che diventa ultimo passaggio.

Riserva nella Juventus, titolare (con riserva) in Nazionale. Non sempre, ma quanto basta per ribadire che «oportet ut scandala eveniant». Giaccherini non è il massimo che vorremmo essere, ma neppure il minimo che spesso, senza volerlo, siamo.

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