Infinita Juventus

Roberto Beccantini2 maggio 2015Pubblicato in Per sport

Sembrano tutti dovuti, gli scudetti della Juventus. Come se il censo degli Agnelli bastasse, da solo, a produrli, a giustificarli. Invece no. Ognuno ha la sua storia, il suo fascino. Questo è il trentunesimo, il quarto consecutivo (anche per la Clinica, inaugurata il 7 novembre 2011), il primo di Massimiliano Allegri, sul Conte del quale ero molto scettico. Come nel 1977, in occasione del «battesimo» di Giovanni Trapattoni, la Signora l’ha partorito a Marassi, contro la Sampdoria. Veniva dall’impresa di Bilbao, quella Juventus. Dovrà inventarsene un’altra, «questa»: martedì c’è la Champions, c’è il Real, c’è Cristiano Ronaldo.

Non ci sono parole: si dice sempre così, e poi si vergano lenzuolate. Come simbolo, prendo Carlitos Tevez. Come partita chiave, Lazio-Juventus 0-3. Come aggettivo, paziente. Succede all’imbattibile del primo Conte (zero sconfitte), al martellante del secondo, all’esagerato del terzo (102 punti, record dei record). Paziente (e versatile, aggiungo) nel senso che Allegri, precettato d’urgenza al secondo giorno di raduno, non ha avuto fretta. Ha aperto il 3-5-2 aziendale e vi ha lavorato come uno scaltro Geppetto, senza sfigurarlo ma neppure senza lasciarlo «immobile», fino al 4-3-1-2 che ne ha caratterizzato l’eclettismo morbido della gestione.

Il gol-suggello l’ha firmato Vidal, al 33’33″ del primo tempo: immagino la ola dei Pazienti di fronte a questa orgia di tre. D’accordo, la concorrenza non era straordinaria, ma la Juventus l’ha resa ancora più piccola. Neppure Conte lo aveva vinto alla 34a. E in piedi ci sono ancora le semifinali di Champions e la finale di Coppa Italia.

Soltanto una società «con le palle» poteva passare dal tribolato quadriennio post Calciopoli (terza-seconda-settima-settima) a un’esplosione così fragorosa: prima-prima-prima-prima. Questo scudetto ha confermato, inoltre, la centralità del club (Andrea Agnelli, Beppe Marotta, Fabio Paratici, Pavel Nedved): sembrava che, perso Conte, sarebbe crollato tutto. Non mi risulta.

Spesso, dimentichiamo quello che abbiamo scritto o detto. Ho tanti difetti, non questo. Ecco come presentavo la corsa al titolo sul numero 10 del «Guerin Sportivo» del 2014 (podio: 1 Juventus, 2 Roma, 3 Napoli).

«Si riparte da 102-85, il «risultato» dell’ultimo Juventus-Roma. Scordiamocelo. Sarà un campionato diverso, con meno Juventus, più Roma e la coppia Napoli-Fiorentina in agguato. Mine vaganti, le milanesi. Soprattutto l’Inter. Il passaggio da Conte ad Allegri fissa una frontiera ambigua. Difficile dire, oggi, cosa prevarrà: se i rutti da triplete o non piuttosto la volontà di ricavare nuovi stimoli per buttarsi oltre le colonne d’Ercole (e di Antonio).

Scacco alla regina, dunque. Garcia ci prova. Ha perso Benatia, tenuto Destro, aggiunto Astori, Manolas, Cole e Iturbe a un impianto già solido. Pjanic garantisce la fantasia, merce rara. E poi Gervinho-Totti-Iturbe: ecco qua un tridente che stuzzica l’appetito. I problemi sono l’effetto Champions e l’euforia dell’indotto. La Roma non potrà più nascondersi.

Quando si parla della Juventus, si deve per forza accennare alla pancia piena, ai rapporti Allegri-Pirlo, al dilemma del modulo, a un mercato di assestamento (te lo do io, Falcao), alla conferma di Vidal e Pogba. Conte era un martello, Allegri ha un altro stile: il cambio mi ricorda la staffetta tra Sacchi e Capello, al Milan. Sembrava la fine di un ciclo, ne iniziò un altro. Sulla Champions, patti chiari: con l’aria che tira, arrivare ai quarti sarebbe un successone.

Il Napoli di Benitez ha arredato la rosa senza appendere un Picasso alla parete. Higuain non si discute, ma i ceffoni di Bilbao hanno fatto rumore. La crescita del progetto è legata alle urgenze difensive e all’uscita di Hamsik dal tunnel nel quale si è ficcato. Scampato il pericolo Fellaini, occhio alla giostra dei portiere: Rafael e Andujar non mi sembrano all’altezza di Reina.

Tra gli «acquisti» della Fiorentina ci metto anche Gomez. Non ancora Pepito Rossi: è di nuovo fermo. Quarta operazione al ginocchio destro. La scorsa stagione, patirono infortuni così gravi da ridurre drasticamente l’arsenale d’attacco. E Cuadrado? Lo braccava il Barcellona, Pradé e Montella l’hanno «sedotto». In passato reclutavamo i migliori, adesso si stappa champagne quando ne resta almeno uno.

Non è da scudetto la Fiorentina, e non lo sono neppure le milanesi. Delle due, preferisco l’Inter. Compiuto il trasloco da Moratti e Thohir, non senza colpi sotto la cintura, il secondo anno di Mazzarri promette bene. Era nona, l’Inter che Walter ereditò: sfatta, in balìa di una svolta epocale. L’ha portata al quinto posto e in Europa League. Le basi sono meno fragili. C’è Vidic, c’è la spinta di Dodò, il cemento di M’Vila e Medel, il repertorio esplosivo-implosivo di Osvaldo: ma credo che il salto di qualità dipenderà, soprattutto, da Kovacic e Hernanes.

Così come, sul fronte milanista, l’addio di Balotelli, girato al Liverpool, azzera gli alibi. In un anno, Berlusconi è sceso da Allegri e Seedorf per salire su Inzaghi, la cui fede nel 4-3-3 ha qualcosa di mistico. Menez e Alex sono sfide low cost, l’operazione più suggestiva (e rischiosa) coinvolge «Torres Gump», ennesimo scarto di lusso. Con Bonaventura aumentano i jolly d’attacco. Scommetto su El Shaarawy, meno sulla difesa e Diego Lopez. Non ha coppe europee tra i piedi, il Diavolo: e questo è un vantaggio (ma pure una bestemmia). Inzaghi ha deciso: metà campo blindata e contropiede. Immagino i cortei a Fusignano.

Il resto del plotone è una diapositiva confusa, nebbiosa. Da Reja a Pioli, la Lazio rilancia la propria candidatura a un ruolo di mezzo, che a volte coincide con l’Europa e a volte no. Djordjevic, De Vrij, Basta e Parolo sono innesti di sostanza. La fibra di Klose e i progressi di Keita, classe 1995, orienteranno la marcia».

Prosit.

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