Zoff, 70 anni

Roberto Beccantini28 febbraio 2012

Oggi Dino Zoff compie 70 anni. E’ stato uno dei più grandi portieri di tutti i tempi, non solo del suo. Friulano di pasta, inglese di stile, tedesco di lamiera: un mix che lo ha portato in cima all’Europa e in vetta al Mondo, sulla copertina di «Newsweek» e fra i denti di un francobollo. Da Guttuso a Gattuso: giocatore, allenatore, commissario tecnico, e persino presidente (della Lazio). Lasciò la Nazionale nel 2000, fresco di argento europeo, dopo un diverbio con Silvio Berlusconi, che gli aveva dato del dilettante per non aver marcato Zidane con un mastino (un Gattuso, appunto) nella finale con la Francia.

Udinese, Mantova, Napoli, Juventus. Soprattutto Juventus, poi allenata con Lazio e Fiorentina. Nessuno è perfetto, e nemmeno lui lo è stato: la sventola chilometrica di Haan, per esempio; non però, secondo Trapattoni, il «tiro gobbo» di Magath ad Atene. In questi casi, i turiboli d’incenso prendono la mano. Sul mio podio ci sono tre portieri: Lev Jascin, Gordon Banks, Dino Zoff. Tutti della stessa scuola. Dino ha sempre privilegiato la persona al personaggio e il prestigio alla popolarità, di cui detesta gli eccessi.

Lontano per indole dal galateo acrobatico di Albertosi, Zoff dava sicurezza anche nella insicurezza che sapeva celare. Ai giovani portieri rimprovera la rinuncia alla presa come una fuga dalle responsabilità: tanti, fra i pali e nella vita, preferiscono rinviare, temporeggiare, deviare, come se avessero paura di bloccare gli attimi, le decisioni. E al diavolo gli alibi: la foggia del pallone, le troppe notturne, le troppe partite. Un muggito vi seppellirà.

Che coppia, e che coppa, con Enzo Bearzot. I silenzi parlanti di Zoff hanno raccontato il Paese meglio di tanti comizi. Un albero dalle radici profonde, solitario e dimenticato. Sarebbe piaciuto a Umberto Saba.

Contenti voi

Roberto Beccantini26 febbraio 2012

Assistenti (di terra), apprestarsi al tracollo.

1) Come era nei voti, il peso del pronostico ha sfigurato la Juventus, al di là del sistema e dei giocatori scelti da Conte. Chi scrive, avrebbe preferito il 4-3-3, ma denunciarlo dopo sfiora la vigliaccheria. Determinanti gli innesti di Pepe e Matri.

2) Nell’ambito di un campionato stra-positivo, credo che si possa imputare al tecnico juventino un solo errore: essere arrivato alla 25a. giornata senza una coppia di attaccanti titolari.

3) Complimenti al Milan: per un’ora, padrone del campo. Pressing e lucidità. Gli mancavano fior di titolari, da Ibrahimovic a Boateng a Nesta. Con Ibra, si era impigrito. Senza, ha recuperato il gusto di «fare squadra». Se il risultato di San Siro premia più la Juventus, nessun dubbio che il tipo di partita premi più il Milan e ne cementi il ruolo di favorito.

4) Sfida vibrante, falsata da gravi errori della quaterna. La mia classifica: primo, per distacco, il gol di Muntari; secondo, il gol annullato a Matri; terzo, il pugno di Mexes a Borriello (da rosso diretto). La contabilità degli episodi è una cosa; il peso dell’episodio, un’altra. E’ possibile che la Juventus sarebbe riuscita ad annullare lo 0-2 – a Napoli ci riuscì due volte, addirittura, nel corso della stessa partita – ma la consecutio temporum e l’evidenza impongono di fissare paletti precisi.

5) Sembrava Juventus-Milan di Torino: rovesciata, però.

6) In una partita a scacchi, avrebbe vinto Pirlo; in un braccio di ferro, non poteva che vincere Van Bommel.

7) Ripenso al referendum «meglio Bonucci o meglio Ranocchia?». Nonostante tutto, continuo a votare Bonucci.

8) Vigilia e spogliatoi da bettola. Ai tifosi più scalmanati i dirigenti piacciono così: ultrà. E se in attesa della cultura tecnologica, ci occupassimo un po’ più di civiltà sportiva?

Il peso del pronostico

Roberto Beccantini24 febbraio 2012

La squalifica di Ibrahimovic e l’assenza di Boateng spingono il peso del pronostico verso la Juventus. E’ la prima volta, in questa stagione. Conte non può nascondersi. Mi spiace per Ibra: dura lex sed lex. All’andata, decise una doppietta di Marchisio; in Coppa Italia, una doppietta di Caceres. Ibra c’era sia a Torino sia a San Siro, Boateng solo a Torino.

Milan-Juventus nasce diversa, in tutti i sensi. Dicono: senza Zlatan, Allegri ha vinto spesso. Che discorsi. Ibra ha portato allo scudetto squadre arrivate terze (Juventus nel 2004, Inter nel 2006, Milan nel 2010), mica catorci di media o bassa classifica. Nasce diversa, Milan-Juventus, perché, appunto, la miglior difesa del campionato dovrà far fronte al miglior attacco senza i tradizionali riferimenti. Pato e Robinho, insieme, diedero fuoco al derby del 2 aprile 2011, vinto dal Milan per 3-0. Patti chiari: con Ibra e Boateng il Milan è più forte; senza, resta abbastanza forte per domare chiunque, anche la Juventus. La quale Juventus si trova ai piedi di un’occasione irripetibile.

La squadra di Conte offre il meglio di sé proprio contro le Grandi. Quella di Allegri, viceversa, è un rullo con le Piccole. Al di là del sistema di gioco, contano i concetti, l’atteggiamento, il coraggio. La partita, se la caricherà sulle spalle la Juventus, con il suo pressing e i suoi recuperi. Il Milan punterà a un mordi e fuggi adeguato alla fanteria leggera che ne solcherà i reparti. Pirlo incarna e riassume lo spartiacque tra muscolo e talento. Il suo trasferimento ha lasciato il Milan al vertice, ma anche rianimato e avvicinato la Juventus.

Non mi aspetto rime baciate, reggere il peso del pronostico non significa avere già vinto. Significa, semplicemente, guardare la partita negli occhi, senza temerne le bizze, gli agguati. Potrebbero risolvere Abbiati e Buffon. Potrebbe finire pari.