Il Grande Peccatore e noi mortali

Roberto Beccantini25 novembre 2023

Altro che sabato del villaggio. Se mai, del miraggio. Emozioni fortissime, da Malaga. Italia in finale di Davis. Gli esperti vi spiegheranno perché. Chi scrive si limita a prenderne atto: 2-1 alla Serbia. Il crollo del corto Muso costringeva Sinner a ri-battere Djokovic. Fatto, dopo aver annullato tre match-point. Non era ancora la meta. Mancava il doppio. Eccolo: il Grande Peccatore e Sonego, il capo-cordata e lo sherpa fedele, bye bye a Novak e a Kecmanovic, il suo Sancio Panza. I superlativi, in questo caso, non adescano: fotografano. Bravissimi. E domani, l’Australia. A 25 anni dall’ultima: in campo neutro, però.

Il tennis si mangia il calcio. A cominciare dall’1-1 tra Manchester City e Liverpool, Haaland all’alba e Alexander-Arnold al tramonto, per transitare al 4-1 del Newcastle al Chelsea, sancito, in un paio di minuti, dalle fotte difensive di Thiago Silva and company.

Dai nostri cortili, giunge notizia della sconfitta della Lazio a Salerno. Rigore di Immobile (quello, e basta), pareggio di Kastanos e sorpasso di Candreva, il migliore, complice Provedel: 2-1. Brutta Lazio: avara, piatta. Con Sarri in versione lippiana: se il problema sono io… Era l’unica piazza senza vittorie, Salerno.

A Bergamo, primo hurrà per Mazzarrino. Kvara di testa, Lookman idem e quell’errore di gittata di Carnesecchi che ha stappato l’azione dell’1-2: Cajuste a Osimhen, Osimhen in spaccata a Elmas, un bacio all’episodio e una palpatina alle lavagne.

E’ stato un match di «pugilato», con i duellanti a darsele di santa ragione (metaforicamente parlando). Chi finiva alle corde, alle corde spingeva l’avversario. Salvo i primi 25’ della ripresa, che la Dea del Gasp ha dominato in lungo e in largo. Poi i cambi: fra questi Cajuste, Osimhen (fuori da 48 giorni) ed Elmas. Il tabellino ne sarà lusingato.
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Un’ora e un episodio

Roberto Beccantini20 novembre 2023

All’Europeo in seconda classe. A naso, non parlerei d’impresa. Il 2-1 di San Siro rende una carezza lo 0-0 di Leverkusen e manda l’Ucraina al playoff. E’ stata una partita strana, dominata per 70 minuti (posso?) e sofferta negli ultimi venti. Con tanto di contatto fra Cristante, impulsivo, e Mudryk, volante, che ha agitato il dubbio forte del rigore. Arbitro, Var: zitti. Sono sincero: l’avrei concesso. In Italia, ci scanneremmo per mesi. Per l’Italia, hip hip hurrà.

Partita aspra e strana, scrivevo. Via col vento: gegenpressing, dogana a metà campo, occhi di tigre (non i piedi, però), sinistra al potere (Dimarco-Chiesa). Sarebbe servito un centravanti vecchio stile: né Raspadori, itinerante, né Scamacca, macchinoso, lo sono stati. Più fascia che centro, Federico il macedone: grandi sgroppate, fior di assist (uno, sontuoso, a Frattesi: bravo Trubin), ma appena un tiro. E agli sgoccioli, sfinito, più terzino che ala. (ri-posso?)

La squadra di Rebrov ostruiva i valichi. Mykolenko disarmava Zaniolo; Sudakov (suo il primo petardo della serata, smorzato da Donnarumma) e Tsygankov cercavano di alimentare blitz efficaci e non banalmente calligrafici. Faceva blocco, l’Ucraina. Gli azzurri sfioravano il gol in più di un’occasione, ma la mira era sbirola.

Poi la flessione. La paura. Il nervosismo. Costretti a vincere, i nostri avversari si buttavano sotto. Mudryk, dal quale mi aspettavo più arrosto, si buttava e basta. Donnarumma rimediava a una propria topica. Nel finale, con Kean vice Chiesa e Buongiorno scudo umano – lui, che aveva sofferto in avvio – il «Lusciano» s’inventava una staffetta che se l’avesse azzardata chi dico io, uhm: Darmian al posto di Politano entrato al posto di Zaniolo. Mamma mia.

Tutti a difesa del Piave. Restano un’ora e un episodio.

Sinnergia

Roberto Beccantini17 novembre 2023

Dalle vette torinesi del Grande Peccatore alla montagnola dell’Olimpico. La nona della classifica Fifa ha sconfitto per 5-2 la 66a. In alto i cuori (ma non ancora i calici) e aggettivi ben piantati a terra. La Macedonia del Nord era diventata, nella pancia del popolo, una sorta di strega. Onorando il pronostico (e il gioco), l’Italia di Spalletti l’ha spazzata via. Finalmente!

Non c’è paragone tra i fatturati e le rose, ma a Palermo perdemmo e a Skopje pareggiammo. Il calcio è bello proprio per questo. Mescola, a volte, i Davide e i Golia. Non sempre. Non stasera. Blocchetto interista (4 titolari) e bel primo tempo: cross di Raspadori e testa di Darmian, il soldatino che ogni caserma sogna. Improvvisamente, Chiesa. L’hombre del partido. Benché «attenzionato» dall’appuntato Dimoski, due gol. Addirittura. Di destro, su tacco di Barella, da posizione centrale; ancora di destro, a giro, complice una scarpa di Manev, su invito verticale di Berardi. Domicilio sulla fascia, ufficio in area o nei pareggi. Libero d’attacco, come chez Madame, al di là dello schema (3-5-2, 4-3-3).

Con Chiesa, gli assist di Barella. Sull’1-0, per la cronaca e per la storia, Gatti si era procurato un rigore (mani-comio di Serafimov) e Jorginho se l’era fatto parare, con saltello, da Dimitrievski. Jorginho: colui che ne sbagliò due con la Svizzera. Era proprio il caso? Con la mira di poi, no. Ma pure chi scrive gli avrebbe lasciato, beccalossianamente, il dischetto.

Nella ripresa, tra cambi e ri-cambi, tale Atanasov ha approfittato dei nostri pisoli e di un fianco di Acerbi per buttarci giù dal letto. Sul 3-2, sono volate lenzuola che sembravano fantasmi. Ma Raspadori (da Barella) ed El Shaarawy (da Dimarco) le hanno subito scacciate. E quante occasioni, a corredo.

Lunedì sera, sul neutro di Leverkusen, sotto con l’Ucraina. Ultima tappa verso l’Europeo tedesco. Basta un pari. Occhio alla «calcolite» acuta. Spesso ci frega.