Coppia di fatti

Roberto Beccantini30 giugno 2018

Dopo Messi, Cristiano Ronaldo. E così, tra fase a gironi e ottavi, sono già usciti: gli ultimi dieci palloni d’oro; la Germania campione del Mondo; l’Argentina vice campione del Mondo; il Portogallo campione d’Europa. What else?

Sulla scia della Francia di Mbappé, ecco l’Uruguay di Cavani. Che giocatore; e, proprio per questo, che problema un eventuale k.o. Senza dimenticare Suarez: che partita. Il colpo di stato nasce lì, dalla mira e il lavoro sporco della coppia d’attacco. Doppietta splendida, il Matador; assist fischiante e tanto altro, il pistolero. E con loro la «garra» di un Paese di tre milioni e mezzo di abitanti, francobollo del Sud America, abituato a soffrire e, proprio per questo, capace di far soffrire.

Gli uruguagi non giocano «bello»: giocano «bene» il loro calcio attorno a Godin e Gimenez, con un portiere-riffa, pronti a immolarsi su tutti, per tutti. Tabarez li guida con una sapienza che non è spocchia, la stampella come scudo e non come spada. Difesa, centrocampo, attacco: è una squadra, l’Uruguay, chiara, discutibile, rispettabile. Nessuno la vorrebbe mai tra i piedi.

Cristiano Ronaldo è finito in trappola. O troppo lontano o troppo vicino: mai al posto giusto nel momento giusto. Eppure il pareggio di Pepe – sull’unico stacco perso dalla contraerea di Godin – sembrava la rampa di lancio per il sorpasso. Viceversa, il destro a giro di Cavani, su contropiede rifinito da un Bentancur boccheggiante e, non a caso, subito sostituito, ha riconsegnato il menu alle voraci mascelle dell’Uruguay.

Torreira è un trottolino forzuto che non ha avuto paura di pestare i sentieri di Cristiano. Santos si è aggrappato a Quaresma e André Silva, ricavandone bolge dantesche. E se c’è una mischia, la Celeste si lecca i baffi. Due Mondiali, 2 Olimpiadi, 15 Coppe America: ripeto, un francobollo, sì, ma corazzato.

Al di là dello scarto

Roberto Beccantini30 giugno 2018

Ha vinto, la Francia, al di là dello scarto e di quei «momenti Versailles» che hanno tenuto in vita l’Argentina fino alla fine. E’ stato un ottavo folle, con un risultato da fase a gironi (4-3), divertente, appassionante.

I bleus hanno lasciato la palla agli avversari e sono volati nello spazio come gli americani sulla luna. Kylian Mbappé, soprattutto. Un rigore, poi trasformato da Griezmann, due gol: ad alcuni ha ricordato il Ronaldo brasiliano, a me Jonah Lomu, l’all black che correva verso la meta e più gli si aggrappavano allo sterno più li sputava via. Compie 20 anni il 20 dicembre. Invidio Deschamps.

Ite, Messi est. A 31 anni, mai a segno dagli ottavi in poi. Triste, solitario y final. Qualche dribbling, il tiro per Mercado (diventerà un assist, rimane un tiro), l’assist superbo (questo sì) per Aguero, troppo tardi sdoganato da Sampaoli o chi per lui. Resteranno, e comunque, i Mondiali di Leo. Perché gli ultimi, probabilmente; perché mai all’altezza delle ambizioni sue e del popolo che, bambino, lasciò (e per alcuni tradì, addirittura). Il «falso nueve» non l’ha aiutato, anche perché era un falso d’autore. Guardiola, al Barça, mica toglieva gli attaccanti (Eto’o, David Villa): li allargava. E neppure Luis Enrique (Neymar, Suarez). «Il mio centravanti è lo spazio» continua a mietere vittime. E non solo tra le briscole dei bar sport.

Bellissimi i gol di Di Maria (sinistro filante da distanza desertica) e Pavard (alla Nacho anti-Portogallo). Preziosi Pogba e Matuidi, sempre sul pezzo Kanté e, Mbappé a parte, molto utile ed efficace il piccolo diavolo che ha giurato fedeltà al Cholo.

Con il Brasile, l’Argentina era una delle mie finaliste virtuali. Non ha mai avuto né un portiere né una fase difensiva decenti e così, a furia di cambiare, si è trovata a discutere Messi. Ma si può? Dimenticavo: chapeau all’arbitro iraniano.

L’altro mondo

Roberto Beccantini29 giugno 2018

A «parità» di Mondiale, con l’eliminazione diretta si entra in un altro mondo. I supplementari e i rigori non escludono certi calcoli e neppure certi catenacci, come documenta il diario delle passate edizioni, ma su ogni scelta e su ogni episodio incomberà il massimo della legge: dentro o fuori.

Scritto che in teoria, per laurearsi campioni, potrebbero bastare quattro pareggi e una buona mira dal dischetto, a conferma che nessuna formula è perfetta, vi giro i miei pronostici.

Francia 55% Argentina 45%. Se l’Argentina ha giocato male, la Francia non ha entusiasmato. A ribadire che dipende da Messi non si sbaglia ma si rischia – giustamente – di non essere letti. Prendo la rosa di Deschamps, anche se il bilancio parziale – un gol su azione, uno solo – non è da podio.

Uruguay 55% Portogallo 45%. Chissà perché, sento che la garra charrua di Godin e c. possa imprigionare sua maestà Cristiano.

Spagna 55% Russia 45%. Fra una squadra non sempre di Hierro e il fattore campo, scelgo le sartine con l’orco (Diego Costa).

Croazia 60% Danimarca 40%. Sulla carta, una delle sfide più sbilanciate. A meno che la zavorra del pronostico non schiacci il centrocampo più bello del mondo.

Brasile 60% Messico 40%. Pure qui, i confini sono netti. L’ultimo Brasile è in crescita, l’ultimo Messico in calo.

Belgio 60% Giappone 40%. Talento contro corsa, orgoglio. Il fioretto di Hazard e Mertens, la corazza di Lukaku sembrano proprio scorciatoie. Occhio, però, all’allegria difensiva.

Svezia 51% Svizzera 49%. La partita più sporca, brutta ed equilibrata. A Petkovic manca mezza difesa. Un indizio, forse.

Colombia 45% Inghilterra 55%. In balia del recupero di James Rodriguez, i cafeteros sono una Mina vagante, di nome e di fatto. Torna Kane, torna l’artiglieria pesante. Per questo, England.