Meglio la Viola del violino

Roberto Beccantini6 marzo 2015

Non erano previste analisi, lo impone il risultato. Essere juventini significa prima di tutto riconoscere i meriti degli avversari. E allora, sicuro di interpretare il sentimento elitario (quello popolare mi ha stufato) di tutta la Clinica, applaudo la Fiorentina di Montella-nutella. L’ultima squadra italiana a violare la fortezza dello Juventus Stadium era stata la Sampdoria di Delio Rossi. Bisogna risalire al 6 gennaio 2013: 2-1 anche quel giorno. E anche quel giorno, una doppietta. Da Mauro Icardi a Mohamed Salah.

Meglio la Viola del violino di Garcia. E così, in Coppa Italia, si va verso il bis dell’ultima finale: Napoli-Fiorentina. Salah, Llorente, Salah. Mohamed è un egiziano di 22 anni che faceva la riserva al Chelsea. Da noi, sembra Cristiano Ronaldo: soprattutto se gli regali settanta metri di campo (primo gol) o gli spalanchi la porta (secondo gol: tu quouque, Marchisio).

Fare l’autopsia dei turnover ha poco senso: sia Allegri sia Montella vi erano ricorsi a piene mani. Se mai, stupisce l’uscita di Llorente: le sue ante, in un’area verosimilmente intasata, avrebbero fatto comodo.

Con il tiki-taka di Montella aveva tribolato anche lo squadrone di Conte. La Fiorentina è stata più squadra. La Juventus, in Italia, resta la più forte ma non sembra più così forte come in passato. Rischiò per un tempo con l’Inter, «questa» Inter, ha rischiato a Cesena (Cesena, ripeto), non ha premuto il grilletto contro una Roma in posa che le indicava dove mirare.

Vidal, Pogba, Marchisio: hanno tradito i titolari, non le riserve, i cui limiti sono netti, oltre che noti. E per allestire il 4-3-3 servono serbatoi pieni e ali vere: il Pepe d’antan, non questo, e giammai un Coman o un Tevez così larghi e «travestiti».

Nessun dramma, per carità. Ma nessun dorma.

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Eccesso di soccorso

Roberto Beccantini3 marzo 2015

Non capita spesso che si paghi l’eccesso di soccorso. Ripeto: l’eccesso, non l’omissione. L’ha pagato la Juventus all’Olimpico contro una Roma che fino al pareggio di Keita vagava per il campo come un pugile suonato tra le corde del ring. Leggerete che dal 62’ la Roma ha giocato in dieci per il doppio giallo a Torosidis. Fin lì, con De Rossi e Totti aveva giocato in nove. 

Garcia l’ha raddrizzata con i cambi (Florenzi e Iturbe, soprattutto, ma anche Nainggolan), e con l’idea, sdoganata fin dal primo tempo, di Keita torre d’emergenza: non a caso, l’1-1 è farina della sua stazza. Chiedo scusa ai gentili Cartesio e Riccardo Ric per questo piccolo inciso, ma Orsato è stato di manica troppo larga con De Rossi, Yanga-Mbiwa e c. (all’inizio e alla fine), tollerandone le rudezze dimostrative. Lo so, non avrei dovuto.

Torno subito alla Signora Tafazzi. Di manica ancora più larga di Orsato. A Cesena, rischiò e poi, con Vidal, sprecò il rigore del match-point. All’Olimpico non le sono bastati un uomo in più e una superiorità schiacciante ancorché accademica. La punizione di Tevez, l’unica dal limite concessa in 93’ di gioco, è stata degna di Pirlo. Fin lì, i campioni avevano controllato la pentola infilandoci ogni tanto un dito per vedere se l’acqua bolliva: un contropiede qua (Morata, Pereya), un altro là (Vidal). Bolliva, bolliva, ma degli spaghetti nessuna traccia.

Gervinho, Ljajic e Totti spazzati via, Pjanic soverchiato, De Rossi emarginato: la Roma ha tenuto una velocità di crociera così noiosa che ho temuto potesse addormentare persino i piloti (come puntualmente avvenuto dal 70’ in poi, dal colpo di testa di Manolas, sventato da Buffon, al pareggio e al resto).
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Montella nutella

Roberto Beccantini1 marzo 2015

La Fiorentina di Montella è dolce come la nutella. Apri il barattolo e ci ficchi, goloso, un dito, poi un altro, poi un altro ancora. Non sempre sazia. A volte manca la fetta di pane, più spesso il coltello (penso a Giuseppe Rossi pre-infortunio o al Gomez del Bayern). Il suo tiki-taka sa anche ridursi, volgarmente, a una forchettata verticale (Badelj-Gomez, contro il Tottenham).

I limiti sono la leggerezza, la fase difensiva non sempre impeccabile. Resta, Vincenzino, un allenatore che rincorre l’idea, non l’ideologia. Dell’1-0 inflitto all’Inter nella sua tana, si parlerà di «impresa epica». Hanno vinto, i viola, in nove contro undici: senza Tomovic e Savic, fuori per infortunio.

Molto, per non dire tutto, si deve proprio a Montella. Il k.o. di Babacar l’aveva indotto a spolverare Salah, autore del gol. Questo egiziano, scarto del Chelsea, sembra il Gervinho, scarto dell’Arsenal, della stagione scorsa. Un’anima attraversata.

Non pago, dopo aver dato una mano ai suoi, Montella l’ha data agli avversari. Con Tomovic a terra, ha inserito comunque Vargas al posto di Aquilani. Era il terzo e ultimo cambio. Un errore clamoroso, del quale si è subito scusato. Non avesse vinto, la Fiesole lo avrebbe passato per le armi.

E’ la vita. In formazione rimaneggiata, la Fiorentina ha fatto la sua partita e l’Inter di Mancini la sua. Veniva da tre vittorie. Troppo leziosa, troppo Guarin e troppo poco Kovacic (Podolski, Icardi, Palacio). Il palo di Guarin è stato un segno del destino.

Come i balzi di Neto, il portiere «espulso» dalla società perché non aveva rinnovato il contratto in scadenza. Un caso, classico, di male-italianità. Non c’entra dove andrà a finire (alla Juventus?), c’entra come stava finendo: da titolare. I problemi fisici di Tatarusanu gli hanno spalancato la porta. E lui l’ha subito chiusa. Come un barattolo di nutella, vuoto.