Dalla sinfonia al bisturi

Roberto Beccantini18 aprile 2015

All’andata fu una sinfonia, questa volta è stata un’operazione chirurgica. Due colpi di bisturi – Tevez, Bonucci – e ciao Lazio. Reduce dalla siesta di Parma e dal complicato braccio di ferro con il Monaco, la Juventus ha vinto di forza, da grande squadra normale.

La più forte contro la più in forma, la propaganda aveva pigiato questo tasto. Ci stava. Partita molto fisica (che stecche, il pio Marchisio), risolta lungo l’asse solidità-episodi. Pioveva, fischiava il vento: lo scudetto è a un passo, l’Europa non so.

Veniva, la Lazio, da otto vittorie. Aveva scavalcato la Roma, aveva soffiato lo scettro di miglior attacco proprio alla capolista. Bene: la Bbc juventina (Barzagli, Bonucci, Chiellini) le ha concesso una palla gol, una sola, agli sgoccioli degli sgoccioli (di Felipe Anderson, sventata da un Buffon). Al garbo e alla sportività di Ettore, la nostra Sartina adorata, non potevano sfuggire le assenze di De Vrij, Cavanda, Novaretti e Parolo. E difatti non sono sfuggite. Però, come dice Lotito, «hic Rodhus hic salta»: qui è Rodi e qui bisogna saltare.

Sono sincero: non che la Juventus abbia tirato molto di più. Ha tirato meglio. Ha sfruttato il ventre molle di una difesa incerottata. Ha mostrato i muscoli. Ha chiuso a chiave la porta di casa. Tevez di sinistro, Bonucci di destro. Sul raddoppio, esemplare il movimento «ad allargarsi» di Matri e Tevez: il mar Rosso si è aperto e «Mosé» è passato.

E’ stata una Juventus molto realista, molto italiana: ha gestito l’ordalia un po’ alla Trap e un po’ alla Mourinho, se vogliamo aggiornare i testi. Allegri ha riesumato il 3-5-2 e un Vidal da film western, tanto era dentro la partita. L’hybris che di solito lo porta a spaccare gli avversari e, magari, a sprecare munizioni, ha continuato a tatuarne la crescita.
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Che…

Roberto Beccantini14 aprile 2015

Migliore in campo, Buffon. E si giocava a Torino. E’ stato l’unico, della Juventus, a entrare subito in partita, ha salvato su Ferreira Carrasco, ha permesso ai compagni di poter sbagliare senza pagare un pizzo esoso. E fino alla fine, ha trasmesso sicurezza.

Juventus-Monaco 1-0, dunque. Ma che sofferenza. Di solito, la squadra di Jardim gioca meglio in trasferta. Certo, non era la Juventus di Dortmund. Allegri predicava pazienza, prudenza: i suoi l’hanno preso alla lettera, sin troppo. Quanti errori in uscita: di Pirlo, del primo Vidal (non del secondo, tornato guerriero), di Bonucci, di Marchisio. Le occasioni chiare, da gol, sono state due: di Tevez, un Tevez più Lazzaro che Gesù, e di Vidal. Poi qualche tiro da fuori, qualche mischia, qualche brivido. Anche dalle parti di Buffon, però.

L’equilibrio è stato spaccato da un errore dell’arbitro, ceco e mediocre, che ha trasformato una punizione dal limite con rosso a Ricardo Carvalho in un rigore con giallo. Lancio, splendido, di Pirlo, scatto verticale di Morata, tamponamento. Mi fermo qui perché l’Europa non è sotto la mia giurisdizione.

Pirlo, già. Non giocava dall’andata con il Borussia. E’ stato pedinato, ha cercato ritmo e posizione; non era al massimo quando uscì, figuriamoci adesso che è appena rientrato. Il possesso palla, che i talebani del Guardiolismo continuano a considerare il fine e non un mezzo, ha premiato la Juventus: 60% a 40%. Si sapeva.

Ad Allegri mancava Pogba; a Jardim, Toulalan. Grazie agli strappi di Ferreira-Carrasco e Martial, il Monaco si è preso il quarto d’ora introduttivo. Piano piano si è ritirato e ha blindato le finestre, in attesa di monsoni che, per la verità, non si sono mai alzati.
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Un sorpasso non casuale

Roberto Beccantini12 aprile 2015

Siamo di fronte a una piccola, grande svolta. Dopo un campionato e trenta partite, cambia l’avversario della Juventus. La Lazio scavalca la Roma, bloccata a Torino. E proprio la Lazio, sabato, sarà ospite della Juventus. Il k.o. di Parma ha ridotto il distacco tra prima e seconda, che resta comunque il più pingue d’Europa (nei tornei di prima fascia, almeno).

Non è stato un sorpasso casuale. Spinta dall’assenza d’Europa, la Lazio vola. Ha eliminato il Napoli nelle semifinali di Coppa Italia, viene da otto vittorie in campionato, ha scavalcato la capolista nel numero dei gol segnati (58 a 57). Eppure, se mi chiedete una partita simbolo della gestione Allegri, vi dico Lazio-Juventus 0-3 di novembre: Pogba, Tevez, Pogba. Non fu solo un pugno sul tavolo. Fu un urlo di gioco.

Non era ancora, a onor del vero, la Lazio di Felipe Anderson. Lo sarebbe diventata a dicembre, dopo l’infortunio di Candreva. Quella sera, Felipe entrò nella ripresa, e scoccò l’unico tiro verso Buffon. Pioli è un allenatore che ai laziali ricorda Maestrelli, il massimo dei complimenti. Non è stato un sorpasso casuale perché la Roma ha rinunciato ai gol del centravanti classico (Destro, Borriello). La Lazio, viceversa, ha tutto: vero nueve (Klose), falso nueve (Mauri), regista (Biglia), centrocampisti che vedono la porta (Parolo) e, soprattutto, ali come Felipe e Candreva. Ma otto sconfitte non sono poche e la fase difensiva, per migliorata che sia, non mi sembra irresistibile.

La Lazio ha asfaltato per 4-0 quell’Empoli che aveva impegnato strenuamente la Juventus. La Roma si è fatta rimontare da Toro. In altre circostanze, ha ricavato dagli episodi più del dovuto; questa volta, probabilmente meno. A Garcia toglierei Florenzi, un eclettico dai piedi «educati» (va di moda). Anche se ho trovato i pianti «sul campo» decisamente… urca, chiedo scusa ai gentili Cartesio e Riccardo Ric: stavo per cascarci di nuovo.