Colpi di coda

Roberto Beccantini7 April 2018

Sono vittorie, queste, che avvicinano allo scudetto e allontanano dall’Europa. Doppietta per doppietta, da Cristiano a Diabaté è cambiato il risultato, da 0-3 a 4-2, ma solo perché il Benevento non è il Real: anche se in alcuni momenti lo sembrava.

Allegri l’ha vinta ancora di episodi e di panchina. Non certo di squadra o con il gioco, al netto dei primi caldi (almeno quelli, uguali per tutti). Il primo rigore (Djimsiti su Pjanic) non meritava il Var; il secondo (Viola su Higuain), sì. Mi scrive un lettore juventino: ad aree invertite cosa sarebbe successo? Uffa.

Complimenti a De Zerbi. Con il mercato di gennaio e le idee di sempre, piccole ma concrete, ha cambiato il Benevento. Quel Diabaté è una sentenza: e quel Djuricic, una mezzala tutt’altro che banale. Lo 0-0 di Ferrara, nascosto dal 3-1 al Milan, aveva agitato argomenti che la sicumera complessiva della squadra ha contribuito a disperdere. Due volte in vantaggio, due volte beccati: sul campo dell’ultima in classifica, mica al Bernabeu.

Allegri è questo, lo sappiamo, e non mi sento di rinfacciargli l’ennesimo «recupero» di Mandzukic, l’uomo chiave del sesto scudetto e adesso, oggettivamente, una palla al piede. Lo avrei schierato anch’io: se non ora, quando? Su Dybala mi viene in mente l’ironica pagella che il corrispondente della «Gazzetta» rifilò a Rush dopo una quaterna in un Liverpool-Vattelapesca d’antan: voto 4; poker di gol a parte, non ha toccato palla. Ecco: tripletta a parte (splendido, il sinistro a giro che ha inaugurato la giostra), ha sbagliato troppi passaggi.

Sei gol al passivo in tre partite fra campionato e Champions: gli scricchiolii della fase difensiva non vanno trascurati, così come le parate di Szczesny su Djuricic e Iemmello. Inutile la prima, provvidenziale la seconda. Perché sì, persino a Benevento c’è stato bisogno del portiere. E allora?

Lazzaro Khedira

Roberto Beccantini31 March 2018

E’ stata la classica vittoria «made in Allegri», tra il ritorno al 3-5-2, un avvio brillante (con gran gol di Dybala), l’arretramento sistematico e il pareggio di Bonucci (proprio lui, meritatamente lui), molti patimenti e sbattimenti, una traversa di Calhanoglu, la manna dalla panchina e l’improvvisa esplosione del peggiore in campo (o uno dei peggiori): Khedira. Assist di sinistro per Cuadrado, fuori da dicembre, e destro filante nell’angolino. Insomma: c’è chi entra Gesù ed esce Lazzaro e chi, come il tedesco, entra Lazzaro ed esce Gesù.

Il Milan, un buon Milan, ha tenuto per un’ora. La difesa non soffriva più di tanto, Kessié assicurava ritmo, Suso e Calhanoglu dribbling, tiri e cross. Sono mancati, a Gattuso, i centravanti: André Silva, soprattutto.

Hai voglia, adesso, di dire che il 3-1 è uno scarto esagerato (e lo è), che era impossibile non pensare al Real da una parte e al derby dall’altra (impossibile, certo), che il pari del Napoli aveva gettato coriandoli strani, raccolti da Dybala e ignorati da Higuain. Tutto si può e si deve dire, tranne che questa Juventus – in campionato, almeno – non ne sappia una più del Diavolo. E non è solo una battuta.

Non stava in piedi, il centrocampo juventino. E il primo gol preso in competizioni domestiche nel 2018 aveva messo di cattivo umore la Bbc, fresca di restaurazione. Poi le staffette: Douglas Costa per Lichtsteiner, Cuadrado per Matuidi. Il Milan, tosto e reattivo, stava controllando le operazioni dal centro del ring. Non che la Juventus non cercasse di vincere: non ci riusciva, glielo impedivano.

Fino alla «doppietta» del fischiatissimo Khedira. Che cambiò la storia di una piccola, grande cronaca.

Buona Pasqua a tutti.

Coraggio pure

Roberto Beccantini27 March 2018

Il problema non è Di Biagio o, più in generale, il ct. Chi scrive, a proposito, terrebbe l’attuale traghettatore. Il problema sono i giocatori. Lo 0-2 con l’Argentina senza Messi e l’1-1 con l’Inghilterra senza Kane lo hanno ribadito al di là dei risultati, dell’etichetta e degli episodi (gli errori in uscita di Jorginho e Parolo che sono costati il gol di Banega e la punzione dalla quale è scaturita la rete di Vardy). A centrocampo, soprattutto.

Vero, tra Kiev e Wembley Immobile si sarà mangiato come minimo sei palle-gol (tre a tre), ma averle sbagliate significa che «c’era». E comunque, se non c’è Immobile c’è Belotti, e un domani potrebbe tornare Balotelli. Questi siamo. Non è colpa del tecnico se Jorginho e Insigne hanno combinato, in due partite, una sola azione «made in Sarri». Viceversa, diamogli atto che il rigore, poi trasformato da Insigne, se l’è procurato un debuttante di Manchester: Chiesa, appena entrato.

Il Var ci ha dato una mano, smascherando il penalty. E’ destino che a Londra gli italiani lascino il segno: il nuovo Wembley fu inaugurato da un’amichevole tra Under 21. Finì 3-3 e tutto i gol azzurri, compreso il primo in assoluto, li firmò Pazzini.

Una volta, quando a Wembley si vinceva con Capello o con Zola, si superava la metà campo molto meno di quanto non si sia fatto stasera. E non si sfogliavano tutti i quaderni e tutti i pizzini che, invece, sono diventati i simboli di un calcio abbinato più alla Nasa che al naso, come si faceva in passato (e proprio male non ci andava).

Mi è piaciuto Rugani, e molto Sterling, al quale Guardiola ha grattato via lo stretto superfluo. Che ci crediate o no, gli inglesi hanno giocato in contropiede più di noi. In casa, per giunta. Tutto è utile, quando non si va al Mondiale e bisogna ricostruire. Anche cantieri incasinati come questi.