A testa bassa

Roberto Beccantini13 November 2025

Se il tennis è lo sport del diavolo, il calcio cos’è? Un diavolo di sport, talvolta. Si gioca con i piedi, mai dimenticarlo. E così, mentre a Torino Alcaraz rosolava Musetti, a Chisinau la Nazionale di Gattuso, nona nella classifica Fifa, regolava quasi al «tiebreak» la 156a. dell’elenco, quella Moldova che aveva accompagnato Spallettone alla porta.

Due a zero, come all’andata: Mancini di testa, in tuffo, su cross di Dimarco, all’88’; Pio Esposito, ancora di cabeza su cross di Politano, al 92’. Per la cronaca, Dimarco, Pio e Politano si erano alzati dalla panchina, con Retegui e Frattesi. Cambi che il buon Popescu non poteva permettersi. Cambi che avrebbe fatto anche il garzone della macelleria all’angolo (Giuseppe Pistilli dixit); se non tutti, quasi.

Il 4-1 della Norvegia agli estoni, con doppiette di Sorloth e Haaland, l’aveva resa quasi un’amichevole. Domenica, a San Siro, ci sarà proprio Italia-Norvegia, ma la differenza reti pro Vichinghi è tale – + 29 a + 12 – che per ribaltarla e soffiar loro i Mondiali «diretti» servirebbe molto più di un’impresa, molto più di un miracolo.

Ringhio conta le vittorie consecutive, cinque su cinque, e guarda avanti. I playoff delle idi di marzo sono pugnali che già tra Ventura e Mancini ci furono fatali. Calma, dunque. La partita scivolerà in archivio senza l’enfasi che, di solito, il possesso palla (77%) e il numero dei tiri (29 a 2) giustificano. Il ct aveva mescolato le carte, Raspadori e Scamacca si sono spenti alla distanza, capitan Cristante ha cercato di mettere in riga una scolaresca distratta, dalla manovra sorda e grigia. Per scardinare catenacci del genere, o segni subito, come avresti dovuto, o possono essere cavoli amari. «Non voglio che mi riabiliti. Solo che mi rendi interessante» scriveva Philip Roth. Appunto. E allora, coraggio.

Da Dalla a Dallinga

Roberto Beccantini9 November 2025

Da Dalla a Dallinga, da Thiago-Iago a Vincenzo sul cognome del quale non tramonterà mai la metafora: lezioni di Italiano, dizionario di Italiano, un Italiano vero. Morale: Bologna-Napoli 2-0. E fattuale, mica casuale. Di pressing, di forza e di testa, dopo un tempo-lavatrice dal cui oblò si scorgeva un gran ribollir di tackle.

Già all’8’, per la cronaca, ‘o Bologna aveva perso Skorupski: flessori. Dentro il terzo portiere, Pessina Massimo di anni 17. La logica, feroce, invitava Hojlund, McTominay e Politano a tirare, o «entrare», da ogni posizione. Invece niente. Respinti a pesci in faccia. Quindi, la mossa: fuori il dolorante Rowe e largo a Cambiaghi. Un’ala. Suo il cross da destra, al 55’, per il piedino di Dallinga, con Milinkovic meno Savic che dal dischetto. E del terzino Holm, al 66’, il cross aereo, da destra, per lo stacco di Nettuno-Lucumì. In mezzo, Hojlund che rischia grosso su Ferguson, Lang e Neres che entrano e «assistono», il baby Pessina che scarta, goloso, le caramelle di innocenti traversoni.

Assenti di qua, assenti di là. Conte Dracula ha fatto la figura della crocerossina, a conferma – perdonatemi – che se vengono a mancare «certi» piedi, «certe mani» (di scienziati o sedicenti tali) si avvertono un po’ meno. Italiano, al contrario, sembra la nemesi della mia opinione, ma proprio questo è il bello del calcio, liquido o solido in base alle dottrine e alle tessere.

Champions ed Europa League avevano succhiato energie a entrambi: dunque, zero alibi. Per i campioni è la terza sconfitta. Lukaku non c’è da agosto, McTominay non è più «McDomini», l’attacco non segna. Il Bologna è una simil Atalanta che ti prende alla gola e sfida a braccio di ferro: vinca il migliore. L’estasi del Dall’Ara e le coccole del Martello salentino al «Fiorentin fuggiasco» varrebbero più di un trattato, figuriamoci delle mie righe.
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Fantasia grisaglia

Roberto Beccantini8 November 2025

Un derby in grisaglia, noiosetto, con lo 0-0, stesso risultato di Lecce-Verona e Como-Cagliari (inchieste, inchieste), a fotografare la sterilità del dominio juventino, la paratona di Di Gregorio su Adams, la striscia di Paleari su Thuram, Conceiçao, David, McKennie.

A certi livelli, per l’ultimo step, bisogna limare le rifiniture, gli ultimi passaggi, quei dribbling che, come macheti, spaccano le foreste (e la selva di Coco, Maripan e Ismajli lo era, per qualità e quantità). Siamo alle solite: la Juventus non è più la carovana di fantasia che era, recupera palla in fretta (o più in fretta), arriva al limite delle Fortezze Bastiani con lodevole nitore, ma poi, uhm, ecco… E gli allenatori non sono mica Einstein. Se un piede senza idee può ribellarsi, un’idea senza piede, al massimo, si consegna alle autorità.

Il Toro, con Colucci al posto di Baroni, squalificato, ha fatto la sua partita: catenaccio per metà gara, un ventello da «ma sì, proviamoci», suggellato dagli alleggerimenti di Asllani e da un paio di transizioni infìde, e poi di nuovo indietro: una spugna, un muro.

Positivi gli ingressi di Adams e dell’albanese, così come l’innesto di Zhegrova, le bollicine sostitutive della spuma del Portoghesino. Vlahovic ha trovato pane per i suoi brontolii, David è David e Openda, Openda. Su Yildiz, cosa aggiungere? Sulla fascia, mi sembra uno spreco. E’ cresciuto, ma la gabbia granata gli ha ridotto drasticamente spazi e feritoie, ovunque.

Koop sempre lì, terzino-centrale. Spalletti ci ha preso gusto. I ritmi quasi mai sono stati salgariani, neppure nei periodi di pressione più ossessiva. Il martedì di Champions non poteva non lasciare tracce. Dal tabellino emerge un ammonito solo: Asllani. Segno che i protagonisti hanno dato una mano all’arbitro. Cosa che manderà in bestia i Roberspierre dei loggioni. Solo loro, però.
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