Da boiata pazzesca a pazzesco!

Roberto Beccantini3 March 2018

Vi lascio all’analisi che avevo stilato fino al prodigio di Dybala, minuto 93’, tunnel a Luiz Felipe e da terra, resistendo a Parolo, sinistro sivoriano nell’angolo lontano. Troppo comodo far finta che tutto cominci da lì. Se mai, lì tutto finisce.

Dunque. Non capita spesso che la Juventus si faccia menare. E’ capitato: anche se poi, stringi stringi, era più rigore Benatia su Lucas Leiva che non Lucas Leiva su Dybala. La partita, ecco, è sgocciolata via tra un cozzo e l’altro, alla caccia di un pertugio, di uno straccio di idea, merce rarissima.

Ritornava Dybala dall’inizio, in coppia con Mandzukic, ritornava il 3-5-2, poi corretto in 4-3-3. La visione di Lichtsteiner ala destra mi aveva buttato giù dal divano. Che tempi, se quella mossa ne incarna(va) lo spirito! Le squadre venivano dal mercoledì di coppa, spaccato dagli esiti e dalla mezz’ora in più che zavorrava le energie della Lazio. Sarebbe bastato accorgersene.

Anche per questo, Inzaghi aveva cominciato più prudente di Allegri, un tecnico che all’attesa ha dedicato fior di tomi, di scudetti (e di sbadigli). Piano, piano Luis Alberto, Milinkovic- Savic e Parolo strappavano zolle ai rivali, complici le sgommate di Lulic e Lukaku. Piano piano, però.

Una zuccata di Mandzukic, un paio di tuffi di Buffon e il resto, mancia. Dybala pascolava, Pjanic giochicchiava, Asamoah e Matuidi si perdevano nella selva oscura di De Vrij. Marmellata a centrocampo, pile di errori. Entrava Douglas Costa: fumo. Entrava Felipe Anderson: polvere. D’accordo, il Tottenham (e, fatte le debite proporzioni, la Dinamo Kiev). Vero, l’attacco quasi falcidiato. E, a seguire, il carattere, l’orgoglio, la forza del destino, i record, eccetera. Restano, nell’ordine, una delle Juventus più brutte e uno dei gol più strabilianti che abbia visto nel corso del campionato (e non solo).

Come il gatto col Toro

Roberto Beccantini18 February 2018

Contro un Toro che Mazzarri, dopo aver rianimato, aveva riconsegnato a una leggerezza quasi noiosa, lontanissima dall’effetto rodeo di Mihajlovic, la Juventus ha vinto in carrozza, come piace ad Allegri, senza subire (o concedere) lo straccio di una mezza palla-gol. E dire che l’infortunio di Higuain, già al 3’, sembrava un segno del destino. I granata non ne hanno approfittato, i campioni non ne sono diventati schiavi.

E’ chiaro, le panchine contano, e quella di Madama è una miniera capace di assorbire fior di assenze, «prima» e «durante». Dentro Bernardeschi, non so se mi spiego. Dentro, cioè, colui che, di destro, ha fornito l’assist ad Alex Sandro, un altro macino che, sempre di destro, ha sbloccato il risultato. La mediocrità soffusa della partita – e dell’avversario, soprattutto – ha portato la Juventus più vicina al raddoppio (con il rientrante Dybala) che non il Toro al pareggio.

Detto che trovo filosoficamente pericolosa la staffetta fra Szczesny e Buffon, detto ciò, non c’è molto da aggiungere. Le schegge isteriche lasciate dalla rimonta del Tottenham sono state spazzate dall’organizzazione con la quale, in campionato, Allegri disarma spesso i clienti di turno. La trovata del doppio terzino (Asamoah-Alex Sandro) ha pagato al di là di ogni più roseo dividendo. Chiellini e Rugani hanno imbottigliato Belotti; Iago Falque, da solo, non poteva che stappare bollicine; Niang è entrato tardi.

La ragion pratica di Allegri – giustificata, in questo caso, dagli ingorghi del calendario – ha prodotto un giro-palla attorno a Pjanic che i rivali hanno sofferto fino alla «masturbatio grillorum», avrebbe chiosato Gianni Brera.

Insomma: il derby era oggettivamente una trappola. La Juventus ci ha fatto cadere il Toro.

Quei dieci minuti

Roberto Beccantini13 February 2018

Ad Allegri, gran gestore, questa volta non è andata bene. Fuori un centrocampista, ritorno al 4-2-3-1 con Bernardeschi a destra e Douglas Costa sul centro-sinistra. Dieci minuti di gran calcio, Higuain a segno in fuorigioco e poi su rigore (netto), dopodiché tanto catenaccio, tanto Tottenham, tra parate di Buffon, rigore di Benatia sfilato a Kane e gol di Kane (in contropiede, per la libidine della nemesi, viziato da un fallo di Eriksen su Chiellini).

Si sapeva della fragilità difensiva degli inglesi. Higuain si è mangiato il 3-0 e su rigore, netto pure questo, il 3-1. Pochettino aveva preferito Lamela a Son. Subito al tappeto, e non certo per un buffetto, i suoi si sono rialzati e hanno preso possesso del ring. Eriksen in mezzo, Kane e Ali ovunque, torello avvolgente.

Senza Cuadrado, Dybala, Matuidi e strada facendo anche Mandzukic, gli uomini erano contati, ecco perché avrei rischiato Bentancur dall’inizio. Perché proprio lì, a centrocampo, è girata la partita. Alla vigilia, quel birbante di Allegri aveva dichiarato: «Li voglio coraggiosi e incoscienti». Non so cosa sia successo, spero che lo sappia almeno lui.

Qualcuno se la prenderà con Higuain, reo di aver trasformato «solo» due occasioni su quattro, penalty compresi. Per me è stato il migliore della Juventus: se non, con Eriksen e Kane a ruota, il migliore in campo. Ha giocato contro tutti, contro troppi (persino Khedira, Mandzukic e il Douglas Costa di molti periodi). Gli «Spurs» hanno pareggiato nella ripresa, quando la Juventus era uscita di casa e con Bernardeschi qualche piccolo falò l’aveva acceso. Molle e aperta, la barriera sulla punizione di Eriksen, sorpreso Buffon sul suo palo.

Ha giocato, la Juventus, come fa di solito in campionato contro avversari che però non dispongono delle armi di un Tottenham. E così pure la Champions si complica. A Wembley come a casa del Bayern: da 2-2.