Qualunquemente

Roberto Beccantini22 August 2022

Senza capo né capi. E’ un titolo che devo aver già fatto, mi sa, ma repetita iuvant (o no?). Giampaolo è stato allenatore della Juventus per una notte. La sua Sampdoria coniuga un verbo semplice: gioca. Si muovono tutti, osano: armonici, ormonici. Sabiri sembrava Zico. Suo l’assist per Leris che, complice Perin, coglie subito la traversa. Sono solo due i nuovi di Madama, Bremer e Kostic, ma siamo sempre al solito minestream. Da Di Maria a Di Allegri. Con Rugani e non Gatti, con Rabiot, l’«invenduto», a deambulare triste, confuso y quasi fatal. Neppure dei peggiori.

Poveri serbi della goeba, Kostic né terzino né ala (coraggio) e Vlahovic, sul filo del fuorigioco, che invoca munizioni e riceve campanili. Bremer e Rugani hanno paura e, di conseguenza, non si sporgono. O non lanciano: ci proverà Rugani (sic). Da Locatelli a McKennie è tutto un ribollir di passaggi all’indietro, tra gli artigli di una Doria scossa solo da una leggerezza di Augello, che liberava Cuadrado, poi murato da Audero.

Gioca male, la Juventus, molto male. Le assenze, d’accordo, ma non è che avesse di fronte, con tutto il rispetto, il City del Pep. C’era una squadra modesta ma vera (citofonare Atalanta): da Rincon a Ronaldo Vieira a Colley. Sempre sul pezzo. Colley e il portiere, soprattutto. Agnelli in tribuna avrà preso atto. L’allenatore attende notizie dal mercato, ma la fuffa di Marassi va al di là di ogni ragionevole letterina a Gesù Bambino. I piedi sono quelli che sono e, dunque, mai pretenderò la luna (già scritto pure questo): mi accontenterei di un pressing e di una manovra tipo Samp del primo tempo.

Fantasia zero: capita. Ma almeno un barlume d’ordine, una parvenza di cuore: manco questi. Vlahovic abbandonato, e a rischio autogol su corner, baricentro basso, errori marchiani in uscita, movimento lento, molto lento.
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Georgia on my mind

Roberto Beccantini22 August 2022

Cominciano a fioccare i pareggi (già cinque, tre dei quali per 0-0). L’1-1 di Atalanta-Milan è stato battaglia, con fasi di pressing feroce e bolge dantesche. Il risultato lo hanno orientato le fasi difensive. Di Leao rammento i brindisi d’avvio e poco altro. Di Rebic, solo polvere: né di stelle né da sparo. Di Zapata, sponde e strappi lontani dal fronte. Di Giroud, nel finale, qualche rimbalzo e niente più.

Più occasioni, il Diavolo. E, al termine, un armistizio sostanzialmente corretto. Gasp ha plasmato una Dea sempre guerriera, senza però la fantasia che le garantivano il Papu e Ilicic. Il «venduto» Malinovskyi («venduto» perché così sembrava persino alla moglie) ha spaccato l’equilibrio. Bennacer, bussola preziosa, l’ha ingessato con un sinistro filante. Rientrava Tonali: non al massimo e sprecone sotto porta, quando De Ketelaere, che Pioli continua a dosare, gliel’aveva spalancata. Bravo Musso. E Lookman, per i pochi spiccioli che ha raccolto. Atalanta e Milan offrono un’idea di squadra, con marcature a pressione e terzini-fionda, che tale rimane sempre e comunque, anche nei momenti più grami. E occhio: la Dea non fa le coppe.

In attesa di Roma-Cremonese e Sampdoria-Juventus, comandano Inter e Napoli che, dopo il Verona (5-2 al Bentegodi), ha demolito il Monza (4-0 al Maradona). Di slancio, non proprio a livelli sarriani ma neppure troppo lontani. Su tutto e su tutti, Kvaratskhelia: doppietta, di destro a giro (alla Insigne) e di sinistro. Sono già tre in due partite. E’ un georgiano di 21 anni che, da noi, sembra Garrincha, così come Koulibaly in Premier, non sembra più un marziano. A segno anche Osimhen e Kim, lo stopperone misterioso. Senza trascurare il movimiento di Lobotka. Nel torneo scorso, a Spalletti di successi iniziali non ne bastarono otto. Questo è un campionato strano perché spezzato: calma. Che non significa nascondersi.

Metà Toro, tanta Inter. E Berardi

Roberto Beccantini20 August 2022

La «partita» era Torino-Lazio. Finisce 0-0, senza una trama che scomodi l’epica. Nel recupero palla e sino al limite dell’area, il Toro è una piccola Atalanta. Dopo, non più. Non a caso, Juric è stato, al Genoa, devoto sacrestano del Gasp. Per un’ora, il pressing granata non dà respiro agli avversari. Marca a uomo, il Toro, ma non come una volta, attorno al battitore libero: come si usa adesso, graffiando e mordendo ogni zolla, ogni polpaccio. E sempre in avanti, possibilmente.

E’ in attacco che il livello cala, un po’ perché Radonjic ha la mira storta, Vlasic è appena arrivato e Sanabria trova in Romagnoli e Patric carabinieri inflessibili. Compatta ma contratta, la Lazio di Sarri fatica a venirne fuori. Milinkovic-Savic, a differenza del fratello portiere, uno dei migliori, sarà uno dei peggiori. E se non segna Immobile, chi segna? Saranno proprio del capitano e del serbo, a Toro non più padrone, le (rare) occasioni. A Luis Alberto «C’era Guevara» ha riservato pochi spiccioli: contento lui.

A San Siro, l’Inter spazza via un fragile Spezia: 3-0. Lau-Toro, di controbalzo, su cross di Barella e sponda aerea di Lukaku; Calhanoglu di bisturi; e, a giochi fatti, Correa su assist di Dzeko. Le parate di Dragowski, la traversa di Lukaku e gli errori sotto porta hanno evitato che lo scarto assumesse dimensioni bibliche. Non era l’Inter dormigliona di Lecce, come ha documentato la spinta feroce di Dumfries e Dimarco. Certo, lo Spezia avrà tirato sì e no una volta. Troppa differenza: ma non solo millantata.

Se l’azione dell’1-0 interista è stata bella, bellissimo è stato il gol di Berardi in Sassuolo-Lecce 1-0. Uno smash mancino che, al di là della traiettoria e della posizione, mi ha ricordato lo Zizou di Glasgow. Destro ben piantato a terra e bum.