Di Maria oltre

Roberto Beccantini15 August 2022

Hanno vinto tutte, le grandi. Chi alla grande, chi più o meno. Un segnale al terzo stato. Stava palleggiando come nel giardino di casa, il Sassuolo, e lo Stadium cominciava a fischiettare, quando l’arbitro ha ordinato il cooling break. Narra la leggenda che il 3-0 sia nato lì, dalle dritte di Allegri. Subito il gol di Di Maria, con un sinistro strozzato; poi il rigore di Vlahovic, somma di due indizi (al pronti via, Muldur e Alex Sandro, quindi Ferrari e il serbo, incastratissimi). La squadra di Dionisi ha continuato il torello, ma ormai Di Maria – protagonista, infortunato y fatal – aveva svegliato Madama e se l’era presa. Siamo sempre lì: il tenore che dirige l’orchestra e non, come insegnava l’Arrigo, il contrario.

Giocava «libero d’attacco», il Fideo. Palla incollata, anche ciondolanti. Con McKennie mezzala, Alex Sandro pimpante (per un po’) e Cuadrado in versione parlamentare sotto elezioni (destra, sinistra, centro). Vlahovic invocava munizioni; gliele fornivano Di Maria e Danilo, le falliva di poco. Il Sassuolo si era reso pericoloso, nello scorcio pre time-out, con Defrel, Berardi (poca roba) e Ayhan. La Juventus viveva di campanili e contropiede: attenta, anche se non proprio ispirata. Era Di Maria, a 34 anni, la scintilla.

Alla ripresa, entrava il promesso sposo (Raspadori-Napoli), ma uno sgorbio di Ayhan propiziava l’assist dell’argentino per il destro di Vlahovic. Era il 51’: «mamma, butta la pasta», avrebbe strillato Dan. Ricapitolando: Di Maria, gol e assist; Vlahovic, doppietta. E, a ruota, un Bremer all’altezza e un Kostic che il loggione vorrebbe più ala che terzino. Piano piano, il Sassuolo si addormentava nel suo sterile tiki-taka, salvo un guizzo di Pinamonti sventato da Perin. Leggerino, bellino, spuntatino.

La scorsa stagione era finita 1-2. Buttarsi sul corpo della partita per scoprire
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Stelle correnti (abbastanza)

Roberto Beccantini15 August 2022

Mi incuriosiva la «prima» della Roma a quattro stelle. Pellegrini-Dybala-Zaniolo-Abraham. Ha vinto 1-0 a Salerno e, come spesso succede quando la propaganda guarda la luna, ha segnato il «dito» che di solito la indica e la sostiene: Cristante, una vita da mediano (e, temo, da fachiro). Diciamolo: non era una trasferta impossibile. Scritto ciò, è stata una vittoria tranquilla, solcata da molti sprechi e pochi rischi.

Mourinho ci crede. Palla al piede, la Roma può e deve sognare. Palla agli altri, dovrà meritarselo. I guerrieri di Nicola hanno dato tutto, un tutto limitato agli scrosci di Bonazzoli. Da qui, una sofferenza relativa. Con Mancini, Smalling e Ibanez padroni dell’area e dell’aria. Aperta parentesi: occhio a Spinazzola. Se ne parla poco, dal momento che altri hanno diritto alla precedenza, ma un eventuale ritorno ai picchi «europei» costituirebbe una carta in più: e non certo un due di picche.

E adesso, i quattro. Abraham di punta, a fornire profondità e sponde. Dybala a ronzargli attorno, un po’ indietro e un po’ avanti a seconda dell’appetito, delle sieste o delle esigenze. Esattamente come nella Juventus di Allegri. Morale, per ora: un palo e un quasi-gol. Il migliore, Zaniolo. Corse e ricorse, scatti e riscatti, un paio di occasioni ciccate, ma la sensazione che il motore sia tornato la dinamite pre-crociati. Capitan Pellegrini, infine: di raccordo o d’imbucata, mezzala per tutte le stagioni e le soluzioni.

Il pericolo è che, aggredita, la squadra si spacchi: e che un arsenale più guarnito della Salernitana ne approfitti. Matic e Wijnaldum sono entrati nella ripresa. Per evitare che i Cristante crollino sul traguardo, alla Dorando Pietri, serve che le stelle non stiano a guardare. Allegri, quello «vero», sposò Pjanic, Cuadrado, Higuain, Dybala, Mandzukic. E proprio male non gli andò.

I cambi, i cambi… E subito il Var

Roberto Beccantini13 August 2022

Scrivere di calcio dopo la prima giornata è come parlare di Marilyn Monroe quando ancora si chiamava Norma Jeane. Ad agosto, poi, sono tutti attaccanti, il razionamento verrà per gradi. Milan-Udinese 4-2 è la sintesi di difese allegre e di un tasso tecnico che non poteva non orientare il verdetto. Subito Becao di testa, poi rigorino, molto «ino», su Calabria, concesso dal Var e trasformato da Theo, quindi Rebic e Masina, di cabeza, specialità della casa. Nella ripresa, Brahim Diaz di rapina e bis del croato dal cuore dell’area dopo omeriche fotte dei friulani.

Pioli ha ripreso da dove aveva brindato. Folate e volate, con Bennacer in cattedra. Leao e Deulofeu si nascondono nei sommari: possono permetterselo, proprio loro, i titoli dell’ultima stagione. In assenza di Ibra e Giroud, riecco Rebic: da due reti in 24 presenze a 2 in 71′. Da Cioffi a Sottil, l’Udinese resta una squadra guerriera, letale in campo aperto. Urgono i gol di Beto e coperture meno avventurose.

Partita aspra, a Lecce. Il gol-lampo di Lukaku non è adrenalina, è oppio. L’Inter si addormenta, pasticcia, Gosens «stoppa» Dimarco, Barella gira in folle, come se tutto fosse già finito. E invece deve ancora cominciare. Strefezza e Di Francesco rianimano la matricola, il cui «celodurismo» irrita e limita Lautoro. Ceesay pareggia. Ci crede, il popolo. Ma Inzaghi ha i cambi, e così la sfanga al 95’, con Dumfries, dopo che Falcone era schizzato di qua e di là (ma pure Handanovic, in un paio di occasioni), sull’ultimo corner, all’ultimissima bolgia. Per la storia, e per la cronaca, sono entrati – oltre l’olandese – Mkhitaryan, Bastoni, Dzeko e Correa. Però. Evviva il risultato, non certo il «giuoco», sento sbraitare. A Coverciano, forse. Solo lì.

Var decisivo anche a Marassi: sullo 0-0, la spintarella di Leris
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