Avanti, popoli

Roberto Beccantini12 August 2022

Rieccoci. Era il 22 maggio: scudetto al Milan. Sarà un campionato strano, fratturato, con il Mondiale di mezzo e il mercato che chiude il 1° settembre, dopo quattro turni. Con l’arbitro donna, più Var o meno Var (boh) a sfogliare i giornali e caccia grossa ai rigorini, a sentire Rocchi. Tornano gli spareggi (per il titolo, per la salvezza). Resta il calendario asimmetrico. Gli allenatori incideranno, i giocatori decideranno. Una volta sì che le griglie avevano un senso. Questa ne ha molto meno, provvisoria e prigioniera com’è. Fate finta che sia una piccola orma su sabbie mobili (più che nobili). I conti li tireremo a fine mese

1. Inter. Mica fesso, Lukaku: è qui la festa. E poi Asllani vice Brozovic. Skriniar è il Piave. Un solo problema, per Inzaghino: la giostra dei portieri.

2. Milan. La forza nel «progetto», il pericolo nella pancia piena. Ma Ibra veglierà su Pioli, De Ketelaere e dintorni.

3. Roma. Esplode o implode. Matic, Dybala, Wijnaldum, più i fab four, più (a giorni) Belotti. E poi lui: Mou, il grande timoniere.

4. Juventus. In balia di degenti (Pogba, Chiesa) e artisti impazienti (Di Maria), con la regia per aria e Allegri al bivio: scosse, più che mosse.

5. Napoli. Da Koulibaly a Kim, stagione di confine. E occhio a Kvaraeccetera: anche quando arrivò Kakà, ci facemmo due risate.

6. Lazio. Il mercato sotto dettatura di «C’era Guevara». Fermo restando Immobile, urge più equilibrio fra attacco e difesa.

7. Fiorentina. Parlano di Italiano come di un «terrorista» degli schemi. Sarà. La sfida si chiama Jovic. Se nuovo Vlahovic o no.

8. Atalanta. «Non è la squadra che volevo». L’ha detto il Gasp. Uhm. C’erano una volta il Papu e Ilicic. Un cantiere, la Dea.

9. Sassuolo. Ormai un marchio. Via Scamacca e (pare) Raspadori, ecco Pinamonti. Più Berardi «dieci». Artigianato palleggiante.


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Ciao, portiere in gamba

Roberto Beccantini12 August 2022

Claudio Garella non era un portiere qualunque. Vinse due scudetti, il primo con il Verona e il secondo con il Napoli (di Diego Armando), e già questo è un dettaglio selettivo, significativo. Era nato a Torino, aveva 67 anni, l’ha tradito il cuore. E’ morto dimenticato, lui che negli Ottanta prese a calci il ruolo, non solo in senso metaforico.

Grande e grosso, sbocciato fra gli ultimi spiccioli di Zoff e l’epifania del Sacchismo, che considerava il portiere un intruso, diventò «Garellik» perché non apparteneva a nessuna scuola, o meglio: dal momento che gli avevano fatto una testa così con il fine che giustifica i mezzi, privilegiò la ragion di squadra all’estetica. A quei tempi, i suoi tempi, i piedi – per un portiere – erano necessari, non obbligatori. Cominciò a usarli come alternativa alle prese ortodosse, fedele a una vecchia massima cinese: «non importa di che colore sia il gatto, purché acchiappi i topi».

E allora: vai di gamba, sulla linea di porta ma anche più avanti, se all’orizzonte appariva, d’improvviso, un barbaro invasore. Tanto che, si mormora, l’idea di punire il fallo da ultimo uomo cominciò a serpeggiare anche per «merito» di quelle uscite alla kamikaze, un po’ alla Ghezzi e un po’ alla Rocco («Colpite tutto quel che si muove a pelo d’erba. Se è il pallone, meglio».

L’avvocato Agnelli lo definì «il miglior portiere senza mani». Una cosa così. E dopo uno 0-0 a Napoli, nella stagione magica dell’Hellas, le troppe coccole che Ameri gli aveva dedicato fecero sobbalzare l’Osvaldo: «Guardi che abbiamo attaccato anche noi».

Non ha anticipato Neuer, non ha anticipato né mode né modi. Le spanciate non ne hanno rigato la letteratura da pane e salame che, pur senza Nazionale, l’ha scortato e illustrato. Non era un fenomeno, non spingeva per farsi strada: respingeva. Malinconia canaglia.

Da un decesso all’altro

Roberto Beccantini14 June 2022

Argentina-Italia 3-0 chiuse un ciclo, Germania-Italia 5-2 ne riga un altro. Ripeto: si cresce anche così. Non c’è stata partita, a Moenchengladbach, se non in avvio e alla fine, sazi i tedeschi e noi a raccoglierne le briciole (Gnonto, Bastoni). Le giostre del Mancio, questa volta, hanno prodotto vuoti d’aria (e d’area). Mi sembrava che potesse essere la notte di Scamacca, invece no.

La Nations League è un circo di amichevoli stipato sotto un tendone d’enfasi. Si veniva da tre prestazioni dignitose (1-1 con la Germania, 2-1 all’Ungheria, 0-0 con gli inglesi), abbiamo capito che il viaggio sarà lungo. E tribolato. Flick, lui, è un tecnico che ha dato al Bayern più di quanto i tattical-chic non abbiano dato a lui. A Bologna aveva sbagliato gli esterni, impresentabili. Altra cilindrata, Hofmann e Raum. Poi Kimmich e Gundogan, padroni del centrocampo. E persino un Sané meno vago. Morale: gol di Kimmich, Gundogan (su rigore), Thomas Muller (la cui duttilità geografica mi ricorda Bettega) e doppietta di Werner. Tutta gente di mille battaglie, non già di caste scaramucce.

Con i piedi di Neuer a insegnare il mestiere agli alluci di Donnarumma. Con gli azzurri ben presto soverchiati nel ritmo, nelle idee e persino nel carattere, recuperato agli sgoccioli dagli avanzi di una mortificante batosta. Dal 4-3-3 al 3-4-3, «via» 3-5-2: gli schemi sono scatole, dipende da cosa c’è dentro. Continua la saga dei deb (Luiz Felipe, Caprari, Scalvini). Raspadori libero d’attacco non ha funzionato, anche perché le ali erano mozze; e le incursioni, scarne. Però che riflessi, Neuer.

Guerrieri non si nasce: si diventa. Ci si cruccia perché i club con i giovani non hanno coraggio, non escludo che si cominci a prendersela col ct perché ne ha troppo. Inghilterra-Ungheria 0-4 è un segno dei tempi non meno radicale. E comunque: se siamo fuori dal Mondiale, temo che non c’entrino «solo» le lavagne.

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