Si cresce anche così

Roberto Beccantini11 June 2022

Si cresce anche così: senza segnare quando si potrebbe (Frattesi, Tonali: dico a voi), e rischiando solo in un caso quando si cala (lo scempio di Sterling). Nel deserto infantile di Wolverhampton, Inghilterra-Italia finisce così 0-0. Al tiro, dei nostri, va l’intero centrocampo, e Ramsdale in un paio di occasioni è prezioso, quasi mai però Scamacca, il centravanti designato. Il gol è un problema che ci accompagna dai rigori «svizzeri» di Jorginho. E che la Nations League sta confermando: contro i pesi massimi (tedeschi, inglesi) e contro i pesi medi (Ungheria).

Rimane la prestazione. Ordinata e spigliata per un tempo, e poi comunque in linea con le risorse e i limiti. La qualità di Gnonto, per esempio, prescinde dalla quantità: buon segno. E il battesimo di Gatti, ex muratore dal sapore torricelliano, ha ribadito il fiuto del Mancio. Abraham non è ancora Kane, ma il pupo se l’è cavata benone. Come Donnarumma, a patto che ci siano da usare le mani (la traversa di Mount) e non i piedi (pasticciaccio brutto sul Tammy romanista).

Non che i Maestri siano marziani. Però, insomma, certe partite non sono mai sfilate di belle gioie. Rice mi è parso padrone di terreni troppo vasti; e James, lui, gagliardamente murato da Dimarco. Da Grealish, in compenso, mi aspettavo dribbling in zone più calde.

E’ una squadra, la nostra, che ha ritrovato il sorriso del gioco. Non imbattibile, ma di nuovo sul pezzo; molto dipenderà da Pellegrini, il capo scout. L’ingresso di Kane non ha sabotato la trama: l’ha offerta, se mai, agli ultimi falò di un picnic ormai stanco. Si gioca ogni tre giorni e siamo a fine stagione.

Martedì, il circo fa tappa a Moenchengladbach: Germania-Italia, ancora. Per la cronaca, siamo sempre in testa al gruppo. Non so quanto pesi, ma nel Paese dei risultati un pochino conta. Scommettiamo?

Tracce

Roberto Beccantini4 June 2022

Tracce. Dieci cambi rispetto a Wembley e la bellezza di sei deb. Uno su tutti: Wilfried Gnonto, classe 2003, scuola Inter e poi Zurigo. Non lo conosceva nessuno: tranne, forse, Adani. Suo il cross, bello, per il gol di Pellegrini. La Germania non è l’Argentina, ma è sempre la Germania. Ha pareggiato subito, con Kimmich, ha pagato la notte disastrosa di Sané e la modestia dei terzini (Henrichs, Kehrer) e, anche quando sembrava padrona, ci lasciava briciole, spiccioli.

Venivamo dal deserto di uno 0-3 mortificante, gli assenti erano un sacco, il loggione friggeva. Si è colta, qua e là, la volontà di aprire le finestre per far entrare un po’ d’aria fresca. Le geometrie dinamiche di Tonali, i corpo a corpo di Scamacca (un palo), i tiri di Frattesi in versione Barella. Era un’Italia più fisica (nei muscoli di Cristante e di Scamacca), legata alle catene del travaglio macedone per una ventina di muniti e poi, via via, più sciolta, più coraggiosa.

Di genitori ivoriani, Gnonto era un giro di roulette. Il piatto piange, un ciclo è finito e un altro va aperto. Piace, al Mancio, l’idea spiazzante. Convocò Zaniolo prima che Di Francesco lo facesse debuttare nella Roma. Siamo un Paese pigro, vedremo che ne sarà di Gnonto, dei Cancellieri e dei Pobega – dipende da loro, soprattutto – ma intanto il messaggio è passato. Almeno in Nazionale: nella nazione, ho dei dubbi.

La Nations League non sarà mai un’ossessione. Bologna ha partecipato e trascinato. I problemi di base restano e non è il caso di trasformare un fiammifero nel falò di una favola. Si continua a segnare poco. I tedeschi di Flick sommano più qualità, ma in attacco non è che Muller, Werner, Goretzka e Gnabry abbiano combinato molto più dei nostri. Si aspettava una reazione: di garra, di gioco. C’è stata. L’importante, adesso, è governare gli eccessi. La buccia sulla quale, storicamente, scivoliamo.

Una lezione di talento

Roberto Beccantini1 June 2022

Riferire, non infierire. Ci mancherebbe. Wembley, che è sempre testimone attento, l’Argentina, l’Italia, il ricordo di Diego, i 40 anni (fra poco) del Mundial spagnolo. E la coppa Europa-Sud America. E lui, cioè Leo, cioè Messi. Morale: Argentina tre Italia zero. Non solo lui: che, reduce dagli ozi parigini, aveva un gran voglia. Anche Lau-Toro (il primo gol, su assist muscolare e irridente della Pulce). Anche Di Maria (il secondo gol, su tocco del Lau-Toro di cui sopra). E, agli sgoccioli, persino Dybala, con quel sinistro un po’ così che hanno loro che hanno visto Omar.

C’è stata partita per una ventina di minuti. Dopodiché, tango y nada màs. Era un’Italia incerottata, era l’ultima di Chiellini, con un Mancini prigioniero di troppe ombre, da Jorginho a Bonucci, che fra gomiti e piedi non si reggeva e non reggeva. Una Nazionale fragile in mezzo e gracile in attacco, proprio là dove, l’11 luglio del 2021, si era laureata regina. Vicina alla parodia di squadra toreata ed eliminata dai macedoni nello spareggio mondiale di marzo.

Scaloni non è un genio: ha però la fortuna di averne uno. Di 35 anni (a giugno), un pittore al quale basta la leggerezza del pennello. C’è stato un momento in cui gli olè e il torello erano diventati ospiti irriverenti e addirittura sgraditi. Parcere subiectis et debellare superbos: mai dimenticarlo. La ripresa, in compenso, si trasformava in una sparatoria tra Donnarumma e Messi.

Per l’Argentina, imbattuta da 32 gare, era una tappa. Per noi, la fine di un ciclo. Da sabato, con la Germania a Bologna, comincia l’ennesimo futuro. Non sarà facile, se esploriamo i nostri vivai. Intanto, però, evviva Spinazzola. E forza Tonali. Resta, della notte inglese, il piacere del talento. Scortato dai Romero e dagli Otamendi, le guardie del corpo che dai tempi di Rocco ogni regista recluta con sadica cura. E ogni capo, pensando alla caviglie, ignora in pubblico e coccola in privato.