Zapata che due spalle

Roberto Beccantini5 marzo 2017

Come se i chiodi del Napoli non avessero sgonfiato solo la Roma, la Juventus è ricaduta in uno di quei pomeriggi in cui chiede alla storia di supplire alle sua pigrizia, ai suoi ruttini. L’Udinese di Delneri, che all’alba del Duemila «fondò» il 4-2-4 del laboratorio Chievo, l’ha premuta e spremuta, lavorandone ai fianchi le carenze, la monotonia, la luna storta.

Era in dieci, l’Udinese, quando Duvan Zapata si è mangiato Bonucci e ha infilato Buffon. Il gol mi ha ricordato i centravanti d’antan, quelli che entravano in porta con le ossa degli stopper appiccicati alle spalle come etichette sulle valigie. Mai visto, in questo secondo Quinquennio, uno solo buttarne giù così tanti.

Già all’andata, i friulani avevano messo in crisi Madama. Aveva risolto una doppietta di Dybala, punizione più rigore. Dybala, questa volta, si è nascosto nella giungla del centrocampo, come Higuain al limite dell’area. Come Mandzukic all’ala. Come Pjanic tra i tacchetti di Hallfredsson. Accerchiati, soverchiati.

Per Allegri, è il primo pareggio dopo un anno e con il 4-2-3-1, modulo che fin qui molto aveva promesso e molto mantenuto, salvo per una domanda che mi ero permesso di formulare in tempi non sospetti: quando le cose andranno male, visto l’impiego simultaneo di tutta l’artiglieria, quali alternative si potranno proporre? Pjaca, d’accordo. Ma poi?

Zero tiri Higuain, zero Dybala, zero Mandzukic. Il pareggio appartiene alla capoccia di Bonucci. Non oso pensare che qualcuno possa aggrapparsi al fumo di un piede-braccio di Samir. L’Udinese ha saputo soffrire, e ha sempre cercato di vincere, come documenta il palo di Danilo. Chapeau. Quanta negligenza, viceversa, nei tocchi di Pjanic e Khedira. E quanta lentezza delle punte nel rientrare dal fuorigioco. Te lo do io il match-point.

Le lezioni sono sempre servite. Vedremo questa.

Caldara e Alex Sandro da «nove»

Roberto Beccantini25 febbraio 2017

Le vampate dell’Atalanta hanno bruciato il Napoli, il fuoco lento della Juventus ha rosolato l’Empoli. Complimenti, di cuore, a Gasperini e ai suoi corsari. La doppietta l’ha realizzata Mattia Caldara, classe 1994: e che classe, sul secondo gol. Sembrava un bomber sincero. Trattasi, invece, di un difensore centrale che Marotta ha prenotato per il 2018 (se non prima).

Un po’ di iella, la squadra di Sarri, ma anche l’uomo in più dal 66’. E nessun apporto dalle torri (Milik, Pavoletti). Bergamo Alta non ha mai rinunciato. Petagna è un centravanti moderno: avesse anche il senso della porta, sarebbe un centravanti completo.

Era una partita facile, per la capolista, ma non semplice. Come spesso succede dopo le coppe. L’Empoli di Martusciello se l’è giocata con un catenaccio mobile che, attraverso bave di palleggio più o meno alto, ingolfava le geometrie juventine.

Tornava Bonucci, Allegri aveva apparecchiato un cospicuo turnover (se non ora, quando?). Pregevoli i cambi di campo, non altrettanto le rifiniture o le conclusioni. La medianizzazione sistematica ha sporcato la mira di Mandzukic, al quale sono capitate – nel primo tempo, almeno – le due occasioni più nitide.

La Juventus non ruba l’occhio e non dà nell’occhio. Lavora ai fianchi gli avversari, silenziosa, guerriera. Li spinge alle corde e poi, in un modo o nell’altro, li atterra. Questa volta, con la zucca di Mandzukic, complice Skorupski, su parabola al bacio di Cuadrado, e con il sinistro di Alex Sandro, un gol da falso tre e da nove vero, verissimo. Alla Higuain. Quindi: pilota automatico e atterraggio soave sulla 30a. vittoria consecutiva allo Stadium.

Uscito Marchisio, il capitano è diventato Bonucci, la cui sobrietà stilistica fa pensare che tutte le zuffe (e gli sgabelli volanti o volati) non vengano per nuocere. E adesso, Inter-Roma. Pioli l’ha presentata così: 2 rigori a 11. Prosit.

L’uomo (e i cambi) in più

Roberto Beccantini22 febbraio 2017

Con un Bonucci in meno ma un uomo in più fin dal 26’: anche per questo ci andrei piano con la «vittoria» di Allegri. Bravo, se mai, ad azzeccare i cambi: hanno segnato proprio loro, Pjaca e Dani Alves.

Già in parità numerica, il Porto aveva scelto di aspettare gli avversari, figuriamoci dopo. I due gialli di Telles, corretti, valgono quelli di Vazquez a Siviglia. Gli andalusi, che stavano vincendo, finirono per perdere. E il gol della svolta lo realizzò proprio Bonucci.

E’ la quarta vittoria esterna di fila in Europa. Non si tratta di ridimensionarne la portata. Si tratta, più semplicemente, di pesarla. La Juventus ha impiegato 74 minuti per sbloccare il risultato. Fin lì, un palo di Dybala, altalenante, un tiro di Higuain, accerchiato, la regia «bassa» di Pjanic, la polvere di Mandzukic, i tocchi fuori misura di Cuadrado, un gol del piccolo Sivori sul filo del filo del fuorigioco, le incursioni di Khedira. Era un dominio lento, orizzontale, che sfiorava la noia. Probabilmente, anche un calcolo: sfiancarli, per poi colpirli.

Non sembrava nemmeno una partita di calcio: sembrava una partita di pallanuoto, con il Porto chiuso a difesa di Casillas e i rivali che lo intontivano di passaggi laterali. Rispetto al rock di Manchester City-Monaco, un liscio tra una coppia costretta a ballare per motivi di emergenza e convenienza.

Era il debutto internazionale del quattro-due-Avanti Savoia: servono verifiche più probanti. Non tanto perché questa non lo fosse, quanto perché il raptus di Telles l’ha spogliata di molte trappole.

Tra i dettagli, occhio al gol di Pjaca: pesa quintali, sul piano del morale. Il croato veniva da scorci anonimi, sembrava una gioielleria chiusa. Per un attimo, l’ha aperta.