L’equilibrio e la roulette

Roberto Beccantini21 aprile 2017

Se tre indizi fanno una prova, due scintille cosa fanno? E’ la domanda che la Juventus ha portato dentro il sorteggio: e, visto l’esito, meno male che non ci fosse più Platini presidente (anche se mi dispiace); immagino, in quel caso, i colpi di tosse, le battutine, le strizzatine d’occhio.

Real-Atletico, Monaco-Juventus. Tutti film già visti. La fortuna, se di fortuna si può parlare, non è tanto l’avversario che Allegri dovrà incartare, quanto il fatto che dal derby di Madrid toglierà il disturbo, comunque, un potenziale vincitore.

Juventus e Monaco si affrontarono nei quarti della Champions 2015, quella della finale di Berlino. Furono partite complicate: 1-0 allo Stadium, rigore di Vidal; 0-0 al Louis II. Ai francesi sono rimasti sullo stomaco gli arbitri. Più o meno come a Marotta dopo il Bayern di un anno fa.

Aver eliminato il Barcellona e lasciato a zero la triade più forte del mondo, Messi-Suarez-Neymar, giustifica la carezza del pronostico. Serviva la scossa: eccola. La Juventus è abituata a cominciare in casa, ma a Porto non è che le cose siano andate poi così male. Il Monaco segna moltissimo, incassa molto, ha sculacciato il City di Guardiola e il Borussia. Corre al ritmo di Bolt, lo allena Jardim, un portoghese che ama il calcio-champagne. C’è un po’ di Italia e di campionato italiano (De Sanctis, Raggi, Glik), e c’è molto altro: Mbappé, classe 1998, il cui stile ricorda il repertorio di Henry, un Radamel Falcao resuscitato dai suoi crociati e dalle sue bende, Bernardo Silva, Lemar, Bakayoko, Sidibé, Mendy, Moutinho.

La Juventus è esperta, quadrata: ha tutto da perdere. Il Monaco è giovane, spensierato e talvolta scapestrato: non ha niente da perdere. L’equilibrio di Allegri (e non solo muro) contro la roulette di Jardim. Juventus 55%, Monaco 45%. A voi.

All’italiana, ma un’impresa

Roberto Beccantini19 aprile 2017

Un’impresa all’italiana, sì. Sarà pur vero che il Barcellona è sceso dalla vetta, ma la Juventus si è alzata al punto da toccarlo e spingerlo giù. Tre a zero allo Stadium, 0-0 al Camp Nou, dove la squadra di Luis Enrique vinceva da quindici partite.

La Juventus di Allegri è meritatamente nelle semifinali di Champions League. Non è stata bella, come nel primo tempo di Torino. E’ stata compatta, forte, lucida. Ha sofferto, perché da queste parti è impossibile non patire, non sbirciare ogni tanto l’orologio. Ha fatto catenaccio per un tempo: e il catenaccio, sia chiaro, è polmone, non polmonite. Avrebbe potuto e dovuto gestire meglio le transizioni, i passaggi cruciali, non necessariamente gli ultimi. Le occasioni più nitide sono capitate a Higuain e Cuadrado, stanchi alla meta. Omarino Dybala, lui, deve crescere in trasferta.

Allegri non è l’allenatore dei miei sogni, ma il passaggio al movimento cinque stelle dopo Firenze è stata un gran mossa, complimentissimi. Grande perché ha aggiunto qualità senza togliere quantità, anzi. L’ambiguità tattica è la forza di questo modulo, un 4-2-3-1 che in fase difensiva diventa 4-4-2 se non 4-5-1. Molti ci cascano.

All’andata il Barcellona era stato Messi. Questa volta è stato Neymar, anche se i tiri più insidiosi li ha calibrati proprio la Pulce, abbonata alle barbe ai pali. Bonucci e Chiellini, per me i migliori, hanno cancellato Suarez e chiunque suonasse il loro campanello. Il Paris Saint-Germain si sciolse subito. La Juventus, di ferro, mai. Il mio borsino era: Barça 60% Juventus 40%. Rispetto a Berlino, li consideravo entrambi meno forti, ma i catalani ancora un po’ di più.

Disarmare in due partite il primo tridente al mondo: questo ha fatto la Juventus, non so se mi spiego.

Io scorto, tu scorti, egli scorta

Roberto Beccantini18 aprile 2017

A Santiago Bernabeu non interessavano i centri commerciali, gli alberghi e neppure le torri di pallottiano cemento. Interessava uno stadio che facesse paura. Se l’è fatto, gliel’hanno dedicato. Lasciate ogni speranza o voi che entrate: era di Dante. Jorge Valdano l’ha tradotto in «miedo escenico». Quello che provò Robert Valentine, scozzese, la sera in cui tirarono una biglia allo zio Bergomi, e Real-Inter finì 3-0 come se niente fosse volato. O quello che, sempre Valentine, provò in un Real-Juventus d’antan, annullando un gol limpido di Manfredonia. Vero: per 20’ minuti la Signora maritata Marchesi non era uscita di casa, Butragueno aveva segnato, il Real avrebbe meritato almeno un altro paio di gol. Ma non li fece. E lo subì.

Non ho dubbi che, secondo il codice Guardiola, Ancelotti sarà corso a complimentarsi con i suoi ex sodali, perché chi vince ha sempre ragione. E il Real ha battuto il Bayern 4-2 ai supplementari, dopo averlo rimontato pure a casa sua (2-1). Tripletta di Cristiano Ronaldo. Resta la scorta fornita dalla terna di Kassai. Nell’ordine: 1) fiscale rosso a Vidal (o prima o non per quel non-fallo); 2) manca il secondo giallo a Casemiro; 3) il gol del 2-2 di Cristiano Ronaldo è in fuorigioco di un metro; 4) il gol del 3-2 di CR7 è in fuorigioco di centimetri. Quattro a zero? No, quattro a uno: a monte dell’autorete di Sergio Ramos, Lewandowski era in offside, lui quoque.

Scritto che Cristiano ha realizzato cinque gol in due partite, non so se, tra andata e ritorno, sia passata la squadra più forte. Il Bayern, al quale non sono bastati due rigori, il primo dei quali inventato, ha pagato le due espulsioni (Javi Martinez all’Allianz, Vidal a Madrid). Immagino il sigaro di Santiago Bernabeu. Le nuvole che vedete in cielo sono il fumo delle sue «tirate». I centri commerciali? Gli svincoli? Lo stadio. Y nada màs. Forza Var.