«Giac» che ci siamo

Roberto Beccantini14 giugno 2016

E’ sempre emozionante e istruttivo quando una squadra senza talento batte dei talenti senza squadra. Dico subito che il 2-0 di Italia-Belgio è persino esagerato, non però la sua morale, la sua lezione. In questi casi, è consigliabile evitare gli eccessi. Conte è un allenatore che seduce. Meno fuoriclasse ci sono, e più l’adesione diventa totalizzante, reciproca. L’ho scritto: non ricordo una Nazionale più modesta di questa. Ma non rammento neppure una Nazionale con un cuore così grande e dall’organizzazione così marcata.

In passato ci si scannava attorno a Totti e Del Piero. Oggi, il convento offre El Shaarawy o Darmian, Eder o Zaza. La classe disordinata dei belgi, secondi nella classifica Fifa, si è consegnata alle sbarre del nostro mordi e fuggi, del nostro catenaccio (ma sì). Siamo stati fortunati, ma non abbiamo rubato nulla: se Lukaku si è mangiato il pari, Pellé avrebbe potuto raddoppiare già nel primo tempo. Devono migliorare, gli azzurri, nell’ultimo passaggio e nella gestione di quegli attimi in cui la partita sembra sfuggire e bisogna aggrapparsi a tutto, anche ai gialli.

I gol portano la firma di Giaccherini e Pellè. Giaccherini è un pupillo di Conte. Lo volle alla Juventus, strillò quando Marotta lo cedette. Bonucci in versione Pirlo, Giac in versione attaccante di razza: stop di sinistro e destro nell’angolino. Poi il muro della Bbc, le volate di Candreva, lo spirito di sacrificio di tutti. Vincere la prima ci ha spesso illuso. Penso al Prandelli brasiliano e al Sacchi inglese. Sarebbe però superficiale, adesso che è stato domato, ridurre il Belgio al rango di brocchi. Così come sarebbe demenziale sottovalutare la Svezia di venerdì.

Abbiamo una squadra. Si sapeva. Abbiamo una squadra capace di liquidare i signori del mercato (Hazard, De Bruyne, Nainggolan, eccetera). Non si sapeva (o meglio: il gentile Lex sì, io no).

Tedeschi ma non troppo

Roberto Beccantini12 giugno 2016

I tedeschi sono i secchioni del calcio. Se a un Europeo o a un Mondiale non ottengono il massimo dei voti, ci vanno vicino. Hanno cambiato stile, dalle sportellate della tradizione – beninteso, sempre agli ordini di un Kaiser; l’ultimo, Beckenbauer – sono passati al meticciato e al torello. All you need is Loew.

Li aspettavo, curioso, al battesimo di Lilla. Non credevo ai miei occhi. Non sembrava la Germania uber alles dei sacri testi. Sembrava, al contrario, una scolaresca che avesse marinato le lezioni, subito in vantaggio con la riserva di Hummels (Mustafi), vicina al raddoppio con Khedira (lui e Kroos, tra i migliori), ma poi alla mercé dei badanti ucraini, capaci di trasformare in Neuer, grande, persino il «tecnologico» Boateng. Tanto che, se il primo tempo fosse finito in parità, sarebbe stato un atto di giustizia, mica una sorpresa.

La rinuncia a un totem d’attacco toglieva profondità. Draxler, Ozil, Muller e Goetze in versione falso nueve sfogliavano i libri con la testa altrove. Svagati. Lenti. Sterili. Interrogati, Konoplyanka, Yarmolemko e Shevchuk riuscivano a fare bella figura. Possibile? Per un tempo, almeno. Alla ripresa, i tedeschi sono tornati i primi della classe. Salvo un tamponamento Neuer-Mustafi nel finale, avrebbero potuto, e dovuto, dilagare. Anche l’Ucraina, però, aveva un portiere: Pyatov. Il raddoppio di Schweinsteiger, guerriero antico e logoro, ma sempre guerriero, appartiene alle mance che spesso il destino, prendendo in contropiede l’abnegazione degli umili, concede ai più ricchi.

L’Ucraina era calata. La Germania era cresciuta. Resta da pianificare l’attacco, come reparto e nelle azioni. In Brasile c’era Klose. La pancia piena è come il canto delle Sirene: urge turare i garretti con la cera. E sperare che non si sciolga.

Polli

Roberto Beccantini11 giugno 2016

Sono ormai cinquant’anni che il calcio inglese, come nazionale, non riesce a sintonizzarsi con la storia, dopo averla scritta fin da quel giorno del 1863, presso la Taverna dei Framassoni, quando scelse i piedi e lasciò le mani al rugby.

Il pareggio che la solita insalata russa gli ha inflitto di testa, con Berezutski, agli sgoccioli degli sgoccioli, riassume l’eterna imperfezione di una scuola che non riesce mai a coniugare esigenze ed emergenze. Una volta, lo spazio aereo era il suo ufficio. Oggi non più. In passato, procedeva a spallate. Oggi non più. Palla lunga e pedalare, prima. Pedalare e palla corta, adesso. Sembrava che il 4-3-3 frenesia avesse un senso e dovesse funzionare, e difatti per un’ora ha funzionato, ma proprio sul più bello il destino ha preteso il suo balzello, non so che a titolo, e l’ha ottenuto.

Meglio l’England della Francia, tanto per dire. E Rooney suggeritore a me continua a piacere. Non dico che possa avvicinare Bobby Charlton, questo no, ma nel modo in cui si muove, appoggia e lancia, lo ricorda. La risorsa del gruppo è stata la velocità di crociera. Il limite, la mira sotto porta. Sterling ha perso il senso della porta, e anche del cross. Le bollicine di Alli, i tagli di Lallana, la voracità balistica di Dier, le catene di destra e di sinistra: beata gioventù.

E’ mancato, paradossalmente, l’uomo più sicuro: Kane. Soffocato, o coumunque svagato e impreciso nella mira. Più in generale, non è mai la quantità degli attaccanti a fare l’attacco: è la qualità. I russi si sono messi lì e hanno atteso che gli avversari calassero o arretrassero. Puntualmente – e storicamente, oserei dire – è successo. La correttezza ha agevolato Rizzoli. Sembrava un convento, la partita del Vélodrome, rispetto al Bronx sanguinario di Marsiglia, la Betlemme di Eric Cantona e Zinedine Zidane.