Cavoli nostri (e dell’Uefa)

Roberto Beccantini13 dicembre 2021

Tu quoque, Uefa. Un sorteggio rifatto di (in)sana pianta, con il Real del superleghista Perez, nemico giurato di Ceferin, che trasloca dal Benfica al Paris Saint-Qatar. Colpa di Blatter è diventata colpa del software. Come cantava Bob Dylan, ma non proprio in quel senso lì, «The Times They Are [not] a-Changin’». Urge il Var anche a Nyon: provvedere, please.

La Juventus è passata dallo Sporting Lisbona al Villarreal, l’Inter dall’Ajax al Liverpool. Seguitemi: se con Allegri e Cristiano Madama fu eliminata nei quarti dall’Ajax, con Sarri e Cristiano negli ottavi dal Lione, con Pirlo e Cristiano negli ottavi dal Porto, perché mai – con Allegri, ancora, e, soprattutto, senza marziano – dovrebbe partire favorita contro i detentori dell’Europa League nonché freschi eversori dell’Atalanta? Totò direbbe: ma mi faccia il piacere.

Si gioca a metà febbraio, e questa è una fortuna. Nella Liga, i«sottomarini» di Unai Emery sono tredicesimi. Altra musica, in giro per l’Europa. Albiol dietro, Gerard Moreno davanti: occhio.

La sfida tra Liverpool e Inter riporta alla tv eroica degli anni Sessanta quando, bambini, scoprimmo il ruggito di Anfield. Klopp ne ha fatto una corazzata moderna. Il 3-2 e il 2-1 (con le riserve) al Milan costituiscono tracce leggere. Inzaghino, lui, sta andando in scioltezza al di là di Conte e delle sue gabbie. Gli mancherà Barella, non è poco. Saranno partite ardenti. Era meglio l’Ajax.

Ed ecco il mio borsino. Champions, ottavi:

Paris Sg 45% Real Madrid 55%; Chelsea 70% Lilla 30%; Salisburgo 20% Bayern 80%; Inter 45% Liverpool 55%; Atletico Madrid 45% Manchester United 55%; Sporting Lisbona 20% Manchester City 80%; Villarreal 55% Juventus 45%; Benfica 45% Ajax 55%.

Europa League, playoff:

Atalanta 60% Olympiacos 40%; Porto 55% Lazio 45%; Barcellona 45% Napoli (dando per scontato il recupero di Osimhen) 55%.

Scusate l’anticipo

Roberto Beccantini12 dicembre 2021

La scorsa stagione, l’Inter balzò in testa alla ventiduesima. Quest’anno, alla diciassettesima. E’ la squadra più forte. Da Conte, Inzaghi ha ereditato lo scudetto e una rosa che il mercato aveva mutilato degli elementi più incisivi, Lukaku e Hakimi (e il destino, di Eriksen). Con Calhanoglu, Dzeko e Dumfries, Simone ha rinfrescato gli schemi, rendendoli più snelli, più liberi.

Morale: primo posto in classifica, quinto successo di fila, ottavi di Champions, obiettivo che Conte fallì. Penultimo, incerottato e rassegnato, il Cagliari di Mazzarri. E così 4-0 comodo, divertente: Lautaro, al quale super-Cragno ha murato persino un rigore, poi Sanchez, la riserva ballerina, quindi Calha, gran destro, e ancora Lau-Toro. Due assist di Barella. Sempre all’attacco, i campioni.

Sorpasso, dunque: Inter 40, Milan 39, Atalanta 37, Napoli 36. Appunti di viaggio. Un Milan disossato e francamente grigio – a centrocampo, soprattutto – ha pareggiato a Udine. La sorpresa arriva dal Maradona: dopo la Juventus allo Stadium, l’Empoli di Andreazzoli ha battuto il Napoli. Le assenze di Koulibaly e Osimhen pesano, ma gli infortuni, di questi tempi, sono all’ordine del giorno. Mancava anche Spalletti, squalificato. Il risultato lo hanno orientato l’efficacia tecnico-tattica degli avversari; le parate di Vicario; un po’ di iella (due pali); le condizioni non ottimali di alcuni titolarissimi, il rientrante Insigne su tutti. E’ la seconda sconfitta consecutiva, la terza nelle ultime cinque. Gli eroi sono sgonfi, come a Milanello. L’Europa, qua e là, semina chiodi.

Non è stanca l’Atalanta, alla sesta vittoria consecutiva. Ha rimontato il Verona al Bentegodi, una signora squadra da quando c’è Tudor. Veniva, la Dea, dal k.o. con il Villarreal, ennesimo monumento allo spreco. A un certo punto, Gasp ha inserito Ilicic e Zapata. Cambi che, lassù, non tutti possono permettersi. Trama di piglio british, equilibrata: per questo, il cin-cin vale doppio.

Il setaiolo

Roberto Beccantini11 dicembre 2021

I muscoli di capitan Dybala sono così delicati e fragili che non sai più cosa pensare. Il setaiolo, questa volta, ha retto per una decina di minuti. La speranza è che Allegri abbia esagerato con i carichi o sbagliato a non riporlo subito nella teca dopo il Malmoe. C’è sempre Adani pronto. Venezia-Juventus non poteva certo cambiare il mondo. Non l’ha cambiato. Ci ha regalato il solito film. Juventus padroncina del campo, in avvio, con Locatelli e Bernardeschi (ebbene sì) a disegnare geometrie plausibili, Pellegrini a sfilare (benino) sulla fascia, Morata e Kaio Crusoe (o Robinson Jorge) a guardarsi attorno: pronti a tutto, anche a svirgolare, il brasilero, un golletto sotto misura.

Il Venezia di Zanetti ha fatto la sua partita, di barricate e di sortite. Ha concesso un pugno di angoli, il gol a Morata, gol da centravanti, su cross radente di Pellegrini, ha chiesto ad Aramu di svegliare Henry e Johnsen. Piano piano, Madama arretrava. Per calcolo, vi diranno a Pontedera. Per mentalità, replicheranno a Fusignano, bòia d’un mànnd lèder.

Il contropiede è arma preziosa, Cuadrado ne ha ciccato uno clamoroso, in chiusura di tempo. La lettura del match si è consegnata alla trama ruvida e noiosa di un giallo sul cui assassino (il pareggio) avreste giurato fin dalla prefazione.

E cioè: Juventus rinculante e «basculante» (non è mia). Mica per tanto. Per quel quarto d’ora che è bastato ad Aramu, altro uomo di sinistro, lui sì guizzante, a impallinare Szczesny. «Halma mater» si sbracciava. Era una Signora troppo fiacca e troppo grigia per non aggrapparsi a tutto, a tutti, persino al secondo giallo mancato ad Ampadu, addirittura a Soulé. Bernardeschi impegnava Romero, entrava Kean, usciva Kaio: un po’ di forcing, alticcio non meno del pressing della prima mezz’ora, e via nel traffico del pari-centro a inseguire Rabiot e Alex Sandro. Vivi o storti.