Il rigore, certo: ma non solo

Roberto Beccantini12 novembre 2021

La differenza non l’ha fatta nessuno, questa volta: nemmeno il gioco. E così, Italia-Svizzera 1-1. Per il Mondiale «diretto» si decide lunedì: noi in Irlanda del Nord, loro in casa con i bulgari. Partita agra, come la vita di Bianciardi, consegnata alla storia dai rigori di Jorginho: a Basilea, glielo parò Sommer; all’Olimpico, senza «saltello», alto. Tipo il Divin Codino a Pasadena. Spintarella di Garcia a Berardi, gita di Taylor al Var. Eravamo all’89’, in piena zona cassazione.

Occhio alla penna. Per una ventina di minuti, solo Svizzera. Grandi folate a sinistra, la corsia di Chiesa e Di Lorenzo, con Okafor lesto a imbeccare il «rimorchio». Come sul gol di Widmer. Rose decimate – più Yakin che Mancini, comunque – e una Nazionale strana, macchinosa, arida al centro (Belotti, grigio) e avara sulle ali (Insigne, Chiesa). A metà campo, là dove regnava Zakaria, Locatelli non replicava le magie di giugno e Jorginho soffriva il disturbo di Shaqiri.

Gli errori di misura complicavano le vie di accesso. Si viveva di episodi, di Sommer: mezzo miracolo su Barella, mezza papera su Di Lorenzo, fin lì timido e confuso. La Svizzera giocava semplice, di ragnatela e di ripartenze, fisica e mai passiva. Nella ripresa, gli ingressi di Tonali e Berardi, al posto del Gallo, offrivano più birra, più dribbling. Sommer murava un Insigne nebbioso, Chiesa occupava tutte le caselle dell’attacco, senza però accenderle, o accendersi. Raspadori era l’ultimo giro di roulette. Fino al dischetto di Jorginho e a una gaffe di Donnarumma, «salvato» da Bonucci.

Certo, il penalty pesa. E tanto, pure. Ma trovo che il pareggio sia giusto. Non dico che la Svizzera ci abbia rubato l’idea: ci ha provato. A Belfast, dunque. La culla di George Best. Nel ‘58, proprio bene non ci portò.

Alla fine, tutti scontenti

Roberto Beccantini7 novembre 2021

Gran derby, con il Milan indiavolato, letteralmente, e l’Inter in attesa, sulla sponda del fiume. Per mezz’ora, almeno. L’acceleratore di Pioli, il freno di Inzaghi. E gli episodi, naturalmente. Due rigori pro campioni, addirittura. Il primo, nebbioso: Kessié va al recupero, si distrae e, toccato, tocca Calhanoglu. Trasforma il turco. Il secondo, netto: di Ballo-Touré su Darmian, dopo errore «geografico» del francese. Lo batte Lautaro, angolato, e Tatarusanu s’inventa una paratona. In mezzo, l’autogol di De Vrij a premiare l’avanti Savoia di Tonali e Leao.

I ritmi, folli, tagliano fuori i tralicci: Ibra, Dzeko. La squalifica di Theo aveva promosso Ballo-Touré. L’anello debole. Anche se proprio lui murerà, sulla linea, un gol fatto di Barella (su azionissima di Bastoni). A ruota, un’occasione di Lau-Toro. Perché sì, non appena il Milan rifiata, l’Inter respira. E, respirando, fa valere il suo fisico, le sue folate. Per i 57 mila di San Siro, una partita di basket, più che di calcio: tanti sono i ribaltoni, le rubate, i grappoli.

Krunic gironzola attorno a Brozovic, che sta all’Inter come la bussola all’esploratore. Brahim Diaz rimbalza da uno Skriniar a un Bastoni. In corsia, Perisic e Calabria sgommano a ogni cozzo.

Alla ripresa, più umana, il Milan sembra pagare il fio del suo eretismo podistico. E’ l’Inter, con Calha e Barella, a spingerlo indietro. Le opportunità più propizie capitano a Lau-Toro (grigio) e Vidal. I cambi rifocillano più Pioli che non Inzaghi. Penso a Rebic, a Saelemaekers, il cui palo scuote gli ultimi fuochi, conditi anche da una gran punizione di Ibra (finalmente), smorzata da Handanovic.

Pari, dunque. Il Milan con il suo fioretto, l’Inter con i suoi cingoli. I migliori: Tatarusanu, Kjaer, Tonali da una parte; Barella, Skriniar, Perisic dall’altra. Tutti scontenti, immagino.

Di corto angolo

Roberto Beccantini6 novembre 2021

L’hanno decisa il secondo giallo di Milenkovic, al 73’, e, agli sgoccioli degli sgoccioli, il rasoio di Cuadrado, con Biraghi complice e Terracciano pollo. Juventus-Fiorentina è stata un braccio di ferro tra un italianista e Italiano, fra squadre normalizzate dalla tensione, dedite a un pressing più difensivo che altro, con la Viola pungente sulle corsie (Odriozola, Biraghi) e Madama senza il caviale russo dell’Omarino.

Sono mancati Vlahovic, prigioniero di Rugani e De Ligt, le (mezze) puntine che avrebbero dovuto gonfiare le vele: Saponara, Bonaventura, Castrovilli. Un’ordalia aspra, governata nella sua modestia da un incursore (McKennie) e uno stopper (Martinez Quarta). In undici contro undici, rari i tiri e avare le emozioni.

Allegri, lui, aveva rinunciato a Bonucci e Chiellini. La solita Juventus di campionato: un po’ pigra, un po’ troppo a rimorchio dei rivali, figlia di sgommate repenti, di un caos calmo al quale contribuiva il ritorno di Rabiot. E Chiesa? Per un tempo, più terzino che ala. Disperso alla periferia, in balia di troppi pizzini (immagino). Alla ripresa, dopo il harakiri di Milenkovic, più dentro alla gara, più punta, più bipartisan (destra/sinistra), come documentano la traversa e la palla del bis. Sarà mai possibile, un giorno, accenderlo dall’inizio? Colpa (anche) sua? Perché no. Ma fossi nel mister, non lo «multerei» se qualche volta rientra tardi.

Era partita da 0-0. La Fiorentina di Italiano guarda sempre gli avversari negli occhi. Può perdere, ma ci prova. Cuadrado aveva avvicendato Rabiot. Il colombiano è un tipo così, regista occulto nei momenti freddi o scheggia impazzita nei frangenti caldi. La scorsa stagione, allo Stadium, orientò lo 0-3 facendosi espellere. Oggi, l’ha firmata con un destro di corto angolo. E’ il nostro calcio: distante un mondo dal 2-0 del City-pass di Guardiola al Cristiano United.