Dal niente al tutto

Roberto Beccantini7 marzo 2018

Dal niente al tutto. Con l’attacco decimato e senza cambi che non fossero Asamoah, Lichtsteiner e Sturaro, la Juventus ha avuto la forza di resistere non tanto al Tottenham, che pure era passato in vantaggio e stava dominando, quanto ai propri sgorbi tecnici e isterici. Zero tiri in porta, Son formato Garrincha, Barzagli, Pjanic e Khedira alla mercé degli incursori sul centro-destra.

Mancava, è vero, un rigore di Vertonghen su Douglas Costa e Kane al momento di timbrare il palo, proprio agli sgoccioli, era in fuorigioco. Travi, non pagliuzze. Un paziente mi ha pregato, al telefono, di lasciar perdere: «fanno pari con gli episodi dell’andata». Per fortuna ne esistono ancora, di questi degenti.

Sull’Allegrismo si stavano agitando, come avvoltoi, prestazionisti e risultatisti, stranamente alleati. Era Wembley, non un Colosseo di periferia. Era il Tottenham di Pochettino, non il Real di Cristiano. Quella prudenza che sembrava attesa, e quell’attesa che pareva (ormai) resa, sono scomparse d’improvviso. Allegri aveva avvicendato Matuidi e Benatia con Asamoah e Lichtsteiner. Era inimmaginabile che potessero produrre un po’ più di equilibrio e – Licht, addirittura – il cross per il gol di Higuain. Il Pipita si trascinava, fresco di recupero: soverchiato, abbandonato. Ma i campioni sono campioni. E così, non pago, ecco l’assist a Dybala che fin lì si era nascosto.

Agli Spurs sarebbe servito il pelo sullo stomaco che, viceversa, decora la trippa dei rivali. Rivali che, in materia di mira o buona sorte, non scherzano: due tiri due gol a Wembley, un tiro un gol all’Olimpico. La Juventus ha sofferto fino al catenaccio dell’epilogo. I migliori sono stati Douglas Costa e Chiellini. Non il massimo, Buffon, sulla carambola di Son. Dopo il 2-2 dello Stadium, Madama doveva vincere. Mi piace pensare che sia stato Davide, da lassù, a spingerla verso quei tre minuti da Golia.

Una domanda su Cristiano

Roberto Beccantini6 marzo 2018

Non che il gol di testa al Paris Saint-Germain cambi molto, ma volevo chiedervi: per voi Cristiano Ronaldo è un extraterrestre come Leo Messi o il primo dei terrestri? Lasciamo perdere il paradosso secondo il quale nella Juventus farebbe, o avrebbe fatto, la riserva di Gonzalo Higuain. Torniamo al nocciolo: è un extraterrestre o no?

Per me sì. Anche se tra i due preferisco la Pulce. Cristiano ha 33 anni e, a proposito di paradossi (ma non tanto), potrebbe tranquillamente giocare «con» Leo. L’argentino, a 30 anni, è un «dieci» di fantasia e di genio, il portoghese un’ala che, di gol in gol e di stacco in tacco, ha assunto le funzioni – e, spesso – il ruolo – del centravanti. Insomma: da CR7 a CR9.

Se devo trovare differenze al netto delle peculiarità fisiche – l’uno, LeBron James; l’altro Stephen Curry – le trovo nel fatto che Cristiano fabbrica emozioni attraverso i gol, mentre Leo produce gol attraverso le emozioni. Non è poco, non è tutto.

Altra cosa: «declassando» Cristiano, si finisce per togliere qualcosa allo stesso Messi. Penso, viceversa, che proprio vicinanze così raffinate e fuori del comune abbiano spinto entrambi a superarsi. Perché sì, sono i grandi avversari a fare grandi i giocatori, le squadre, le conquiste.

La vostra opinione?

Dimenticavo un dettaglio. La panchina del Real a Parigi: Toni Kroos, Luka Modric, Gareth Bale, Isco. Parafrasando Raymond Carver, uno dei mei autori preferiti: di cosa parliamo quando parliamo di calcio.

Da boiata pazzesca a pazzesco!

Roberto Beccantini3 marzo 2018

Vi lascio all’analisi che avevo stilato fino al prodigio di Dybala, minuto 93’, tunnel a Luiz Felipe e da terra, resistendo a Parolo, sinistro sivoriano nell’angolo lontano. Troppo comodo far finta che tutto cominci da lì. Se mai, lì tutto finisce.

Dunque. Non capita spesso che la Juventus si faccia menare. E’ capitato: anche se poi, stringi stringi, era più rigore Benatia su Lucas Leiva che non Lucas Leiva su Dybala. La partita, ecco, è sgocciolata via tra un cozzo e l’altro, alla caccia di un pertugio, di uno straccio di idea, merce rarissima.

Ritornava Dybala dall’inizio, in coppia con Mandzukic, ritornava il 3-5-2, poi corretto in 4-3-3. La visione di Lichtsteiner ala destra mi aveva buttato giù dal divano. Che tempi, se quella mossa ne incarna(va) lo spirito! Le squadre venivano dal mercoledì di coppa, spaccato dagli esiti e dalla mezz’ora in più che zavorrava le energie della Lazio. Sarebbe bastato accorgersene.

Anche per questo, Inzaghi aveva cominciato più prudente di Allegri, un tecnico che all’attesa ha dedicato fior di tomi, di scudetti (e di sbadigli). Piano, piano Luis Alberto, Milinkovic- Savic e Parolo strappavano zolle ai rivali, complici le sgommate di Lulic e Lukaku. Piano piano, però.

Una zuccata di Mandzukic, un paio di tuffi di Buffon e il resto, mancia. Dybala pascolava, Pjanic giochicchiava, Asamoah e Matuidi si perdevano nella selva oscura di De Vrij. Marmellata a centrocampo, pile di errori. Entrava Douglas Costa: fumo. Entrava Felipe Anderson: polvere. D’accordo, il Tottenham (e, fatte le debite proporzioni, la Dinamo Kiev). Vero, l’attacco quasi falcidiato. E, a seguire, il carattere, l’orgoglio, la forza del destino, i record, eccetera. Restano, nell’ordine, una delle Juventus più brutte e uno dei gol più strabilianti che abbia visto nel corso del campionato (e non solo).