Bastien contrario

Roberto Beccantini27 gennaio 2018

Brutta come le maglie, la Juventus avrebbe battuto il Chievo se il Chievo non le avesse spianato la strada? Mah. Non un aiutino: due, addirittura. Al 37’, con la follia di Bastien: doppio giallo in un paio di minuti. Poi, al 61’, con le «manette» che sono costate il rosso anche a Cacciatore. In questo caso – il giocatore a terra dopo un contatto con Asamoah – Maresca avrebbe potuto fermare il gioco, e/o la Juventus buttare via la palla. Regolamento «versus» romantici: sto con voi, sto con i romantici.

In undici contro nove, la partita è finita. Hanno segnato Khedira e Higuain, a secco dal 1° dicembre. Maran è un artigiano capace di aggiungere carriere agli anni, e non semplicemente anni alle carriere. Al Bentegodi aveva già bloccato sullo 0-0 Roma e Napoli. Due punti in sette partite rappresentavano, però, confini fragili, che una grande squadra avrebbe superato non dico in bellezza, ma almeno con un po’ più di agio.

Visto che a volte bisogna parlare pure di gioco, parliamone. Allegri ce l’ha con gli esteti, chiacchieroni, e tira dritto per le sue strade, tutte ancora transitabili: scudetto, Coppa Italia, Champions. Ma se continua così, carichi o non carichi, prima o poi troverà un ingorgo, un casello. Parlare degli assenti, per la rosa più ricca d’Italia, non mi sembra elegante. Parliamo dei presenti. Una lagna infinita, un titic-titoc senza arte né parte. Higuain e Mandzukic vicini e imbottigliati, Sturaro poco sinistro e troppo esterno. Non uno che saltasse l’uomo: nemmeno Douglas Costa (se non a Chievo decimato). Fantasia, zero. E, come idee, la lampadina fioca di Pjanic e stop.

Avete presente il secondo tempo con il Genoa? Peggio. Molto peggio fin dall’inizio. E che le bollicine di Bernardeschi, per carità, non diventino una «mossa». Il problema non è il Napoli che domani può tornare in testa. Il problema è la Juventus.

Con la sosta in palio

Roberto Beccantini22 gennaio 2018

L’ingresso di Barzagli e i campanili di Chiellini sono stati il segnale: la Juventus non ne aveva più. Aveva sbloccato presto il risultato lungo l’asse Mandzukic-Douglas Costa; aveva sparacchiato molto dal limite e impegnato qui e là Perin (nulla di eroico, parò), salvo ripiegarsi su sé stessa fino a offrire campo al Genoa. Campo: non occasioni. Perché Davide (Ballardini) non è Golia e neppure l’innesto di Galabinov, Lazovic e Lapadula poteva forzare il destino.

Dicono che dopo le vacanze a Vinovo abbiano lavorato sodo. E per questo le gambe fossero imballate. Poi i divieti di sosta: male con la Lazio, alla ripresa, e male con la Sampdoria. Massima allerta, dunque. E’ stata una partita aspra e brutta, che i «risultatisti» molto temevano. Il Genoa è il Genoa, ma nelle ultime quattro trasferte non aveva preso gol. Ha chiuso i boccaporti, ha atteso per un tempo e poi si è buttato sulla lotteria degli episodi: qualche mischia, zero parate di Szczesny.

In tribuna c’era Sampaoli, il ct dell’Argentina. Se cerca un centravanti-sherpa che faccia spazio a Messi, l’ha trovato. Se viceversa cerca un centravanti vero, bè, a Manchester c’è di meglio. Nella speranza che i lettori più raffinati apprezzino l’ironia, si può dire che l’alfabetizzazione di Allegri procede: da un anno, Mandzukic fa il Pogba a sinistra; Higuain, che non segna da Napoli, porta bombole d’ossigeno a tutta la cordata; Douglas Costa comincia a coprire tutta la fascia, ora ala ora terzino, il «guaio» è che ogni tanto gli scappa qualche gol.

Scherzo, naturalmente. Era una tappa pianeggiante con chiodi sparsi sull’asfalto. Averli schivati, con la curva non meno chiusa della difesa, non è da poco. Napoli 54, Juventus 53: tutti gli altri campionati sono già finiti, il nostro deve ancora cominciare.

Atti di fede

Roberto Beccantini21 gennaio 2018

Un paziente di Napoli (sottolineo: di Napoli) mi chiede: che differenza c’è tra il gol di Mertens a Bergamo e il gol di Cacciatore in Chievo-Udinese pre-sosta? Il primo convalidato nonostante un mezzo piede in fuorigioco, il secondo annullato per un mezzo piede in fuorigioco.

La domanda coinvolge gli atti di fede che, al di là della parallasse, delle linee tracciate o tracciabili, dell’attesa spasmodica della tridimensionalità e, più terra terra, dei confini del tifo, talvolta prendono in ostaggio la Var sulla «vexata quaestio» del fuorigiochicidio.

Se pensiamo al calcio degli assistenti, Atalanta-Napoli sarebbe potuta finire 0-0 o 0-2 (c’è anche il gol di Hamsik, di una scapola «oltre»), e tutti o quasi l’avrebbero accettato. Viceversa, con il calcio dell’alta velocità (tecnologica), capisco le perplessità dei Gasperini (e dei Maran) di turno.

Cosa si può fare? Finché non arriveremo alla perfezione degli strumenti, bisogna evitare che, appunto, siano gli atti di fede a giustificare la correttezza delle decisioni. E allora rilancio una vecchia proposta: ripristinare il concetto di luce tra ultimo difendente, portiere escluso, e attaccante. Dopodiché: tutto buono (dal piede al naso, dall’alluce al gluteo in offside) o tutto no. Personalmente, sponsorizzo la prima: tutto buono.

Come temevo, sono state consegnate alla moviola in campo sacche di regolamento troppo ambigue per non alimentare il cicaleccio da bar sport. Mani-comio, furigiochicidio: sarebbero servite norme più asciutte, più chiare. Anche perché, con la Var, le pretese si sono alzate e l’esigenza generale è cresciuta. Non ci si accontenta più della realtà, si pretende la verità.

Il campanile non c’entra, o almeno non c’entra in questa piccola analisi. C’entra la volontà di uscirne tutti insieme.