Coraggio…

Roberto Beccantini2 settembre 2017

Il coraggio non è uno schema. E’ un’idea, uno stato d’animo, un atteggiamento. Spagna tre Italia zero ne è stata l’affascinante e brutale conferma. Affascinante, per come hanno giocato. Brutale, per come si millantava che avremmo giocato.

Quando vince il talento, tutti in piedi. Penso alla doppietta e ai numeri di Isco, alla sapienza di Iniesta, all’armonia di una manovra mai banale neppure nei momenti di stanca. E così Spagna quasi ai Mondiali e Italia quasi ai play off.

Si scende dal carro di Ventura con la disinvoltura di un popolo che non ha quasi mai chiuso un guerra con l’alleato con il quale l’aveva aperta. Chi scrive, aveva caldeggiato un più casto 3-4-3. L’infortunio di Chiellini ha buttato all’aria i piani. Il 4-2-4 del ct sembrava un inno all’ardimento, alla volontà di non essere schiavi nell’arena che, più di tutte, apprezza i padroni. E’ stato un suicidio. Perché non è la quantità a scolpire la differenza. E’ la qualità.

Noi, due centravanti veri e due ali. Loro, zero attaccanti di ruolo fino all’ingresso di Morata. Eppure non c’è stata partita, soprattutto a centrocampo, là dove lo schema si è rivelato un guscio, vuoto a sinistra (Spinazzola-Insigne) e un po’ meno a destra (Darmian-Candreva). Vi raccomando Verratti, al quale le attenuanti generiche non bastano per dissolvere la polvere che ha alzato. E Insigne? Con il Napoli, un gigante. In Nazionale, un nano. D’accordo, aveva di fronte quel Carvajal che ruberei al Real. Mettiamoci pure un Buffon non proprio irresistibile sulla traiettoria del primo gol di Isco: rimane la speranza che sia stata tutta colpa di Ventura e non degli spacciatori seriali di iperboli che continuano a infestare le edicole e i mercati.

A proposito: tra Under e Nazionale la Spagna ci ha inflitto un perentorio 6-0. Lo scrivo io, questa volta: coraggio.

Più Dybala che gioco

Roberto Beccantini26 agosto 2017

Con Bonucci e Dani Alves, la Juventus era stata polverizzata in mezz’ora (3-0, poi 3-1). Senza, ha rimontato l’ennesima partenza-incubo (due gol in sette minuti) e battuto un Genoa che ci ha provato fino all’ultimo. Quel pomeriggio, Higuain era entrato al 53’ e Dybala non c’era proprio. La tripletta di Paulo Omar spiega il risultato, anche se la rete del sorpasso – molto bella, tra l’altro – l’aveva realizzata Cuadrado, con Alex Sandro il peggiore.

Insomma, e non è la prima volta: i giocatori più del gioco, al di là di una reazione che, dopo l’autogol di Pjanic e il rigore di Galabinov, aveva coinvolto la squadra: con i suoi limiti (Khedira, la vaghezza dell’ultimo passaggio) e con le sue risorse (le fiammate improvvise dei singoli). Sei gol tra finale di coppa e campionato: Dybala è un progetto di fuoriclasse. Sta cominciando a segnare lontano da casa, un dettaglio cruciale. Guai a dimenticare, inoltre, il dribbling «a uscire» con lancio pettinato lungo-linea a Cuadrado. Mamma mia.

Il Genoa di Juric l’ha messa sul ritmo: le corse di Laxalt, le ante di Galabinov, il primo tempo di Pandev. E, al momento opportuno, uno paio di parate di Perin. Ancora una volta Allegri ha bocciato il mercato, salvo ricorrere a un paio di cerotti, Matuidi (discreto) e Bentancur (senza voto). Una volta capovolto il risultato, il tecnico ha inserito Barzagli, addirittura, ed è passato a un catenaccione che l’ultima perla della Gioia trasformerà in un possesso palla studiato, ci scommetto.

Per concludere, il festival Var. Due penalty sfuggiti a Banti, mediocre, e poi corretti con il video: pestone di Rugani a Galabinov (che però, precisione per precisione, aveva un tacco in fuorigioco), braccio ravvicinato ma largo di Lazovic su girata di Mandzukic. Si chiama calcio del futuro.

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Va(r) pensiero

Roberto Beccantini19 agosto 2017

Tocca alla Signora, naturalmente, battezzare la Var. E così, una partita come tante, Juventus-Cagliari 3-0, diventa storica. Un contatto tra Alex Sandro e Cop sfuggito a Maresca e poi, via schermo, trasformato – correttamente – in rigore. Il fatto che Buffon lo abbia parato a Farias, non è un dettaglio marginale.

I campioni erano già in vantaggio (Mandzukic), ma non è che stessero incantando, o dominando. Anzi: c’era voluto Buffon, ancora lui, a disarmare Farias e, sulla respinta, la frenesia balistica di Faragò per sprecare la palla del pari.

Sorridevo dentro di me pensando ai dibattiti «movioleschi» nei Bar sport. Gli anti: beccati, finalmente; per tacere del braccino di Dybala. I pro: manco così, che goduria. Ci abitueremo, si abitueranno. Allegri veniva dal fiasco laziale, Rastelli dalla rottura con Borriello. Dal primo giorno di scuola non si può pretendere la luna, e difatti nessuno l’ha indicata: se non Dybala, a tratti (gol, traversa), e Pjanic (che lancio, a Dybala). Non certo Higuain, rete a parte. Benino Rugani, in rodaggio Marchisio. Buono, il palleggio degli avversari. Non altrettanto la fase difensiva.

Dybala partì in panchina contro l’Udinese, idem Higuain contro la Fiorentina: ci va piano, Allegri, con i nuovi. I primi morsi di Matuidi e Douglas Costa non hanno lasciato tracce memorabili, lo stesso dicasi di un risultato che il fattore campo e la differenza di classe tenevano saldamente in pugno.

Gli scheletri di Bonucci (soprattutto) e Dani Alves continueranno a sporgere dagli armadi chissà per quanto. Là dove sorge e sgorga l’azione, si è piazzato Pjanic. L’allenatore dovrà lavorare per raffinare e snellire l’azione. Siamo al 19 agosto e una volta, di questi tempi, il mercato era chiuso da un pezzo. Bei tempi.